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13 Marzo 2023 – Redazione – dal sito eventidimenticati.it

 

Cosa si nasconde dietro al cibo, quali significati simbolici, valoriali, culturali e sociali si celano dietro all’alimentazione? Che importanza riveste l’opulenza in un banchetto ed intorno alle devianze alimentari?

Alle origini

Il cibo è una funzione/segno a tutti gli effetti: ricopre di certo una funzione primaria, il nutrimento, ma, appagata l’esigenza fisiologica, si struttura subito in segno (vale a dire, rifacendoci a Saussure, quella complessa realtà a due facce costituita dalla relazione tra significante e significato). Come funzione, ancora, il cibo acquista senso dal momento che si presuppone sempre una società in cui viene usato. La Bibbia si apre con un atto alimentare. Dietro questo primigenio gesto dell’umanità possono già essere rintracciate alcune delle sfere simboliche che più spesso vengono associate al cibo: la sessualità/sensualità, legata a doppio filo all’ambiguità del ruolo della donna(dispensatrice di cibo, ma ingannevole) che, peraltro, ne sarà segnata per millenni; la tentazione della gola (uno dei sette peccati capitali), vale a dire il cibo concepito come forma di trasgressione che, in quanto tale, va regolamentato e irreggimentato; infine (con uno slittamento, gravido di conseguenze, dal materiale al simbolico), un alimento come emblema di conoscenza, passaggio di stato, assimilazione o partecipazione a una nuova condizione esistenziale.

L’uomo è un mangiatore simbolico e sociale, non unicamente biologico. Il cibo diventa di conseguenza uno strumento di comunicazione non dissimile dal linguaggio. Il consumo del cibo e la sua preparazione riflettono profonde differenze culturali. In antichità classica i consumi alimentari marcano identità: la polenta di farro è il cibo italico, quella d’orzo è pasto greco. I greci, che intorno al cibo costruiscono un sofisticato sistema di costituzione identitaria che li separa da usanze barbare, si autodefiniscono “mangiatori di pane”: anche nell’Iliade e nell’Odissea questa terminologia è utilizzata come sinonimo di “uomini”, additando gli altri popoli come cannibali o mangiatori di carne cruda, allontanandoli ideologicamente da sé stessi, in quanto descritti come mangiatori di carne cotta e perché avevano ricevuto in dono dagli dei i cereali, miele, olivo, vite e vino. Attraverso il cibo l’altro viene squalificato a livello animale. Così come per il pane, anche la birra e il vino, cibi non naturali, ma ottenuti attraverso un processo, acquisiscono un evidente valore simbolico. L’atto di cucinare del cibo, del cucinare una pietanza, è possibile grazie alla sua cottura, ovvero grazie all’utilizzo di un fuoco. La conquista del fuoco, non a caso, è considerata l’incipit della società umana, la scoperta che distingue natura e cultura. Per gli antichi greci il fuoco era una prerogativa divina, di cui Prometeo si impossessò rubandolo al dio Efesto.

Grandi banchetti

Il cibo diventa altresì indice di discrimine sociale nel momento in cui qualcuno ne chiede e ottiene più di altri, una prerogativa insita dell’evoluzione. L’avvento della cottura incrementa il pregiudizio in favore dei lauti pasti: provoca l’effetto di rendere più piacevoli i pasti, una tentazione per la gola. Un appetito gigantesco è non a caso considerato una prerogativa delle classi sociali agiate in quasi tutte le società. Nell’antichità le leggendarie imprese a tavola non sono dissimili da quelle in battaglia. Un consumo eccessivo di cibo non solo ricopre un valore sociale ma risulta anche utile perché l’eccedenza si riversa su chi è povero: le briciole cadute da tavole abbondanti sono sempre state considerate sinonimo di generosità. Fino all’Occidente medievale l’ingordigia dei pranzi “baronali” era necessaria per rafforzare i rapporti devozionali nei confronti del signore: nel 1466, al banchetto che festeggia l’instaurazione dell’arcivescovo di York, si contano 870 ettolitri di frumento,  300 botti di birra e 1000 di vino, 104 bovini, 6 tori selvatici, 1000 pecore, 304 vitelli, 304 suini, 400 cigni, 2000 oche, 1000 capponi, 2000 maialini a latte, 400 pivieri, 100 dozzine di quaglie, , 200 dozzine di femmine di piovanello, 104 pavoni, 4000 tra germani e alzavole, 204 gru, 204 capretti, 2000 polli, 4000 piccioni, 4000 gamberi di fiume, 204 tarabusi, 400 aironi, 200 fagiani, 5000 pernici, 400 beccacce, 100 chiurli, 1000 egrette, più di 500 cervi, 4000 pasticci di cacciagione, 2000 creme calde, 608 tra lucci e abramidi, 12 tra focene e foche  e una quantità infinita di spezie, dolci, cialde e torte. Una tavola imbandita resta segno di prestigio sociale in Occidente fino agli inizi del XX secolo, mentre il pasto principale (quella che veniva chiamata colazione e che noi oggi chiameremmo pranzo) viene slittato ad ora sempre più tarda: alla fine del ‘700 gli uomini di provincia inglese pranzano alle 16, a segnalare il loro privilegio, differentemente agli appartenenti della classe povera, che devono svegliarsi presto per andare a lavorare, di non avere vincoli orari).

Tre sono i modi per coniugare gli ideali di austerità ed eccesso: selezionando cibi scelti, bizzarri o rari, in grado di nobilitare anche piccole porzioni di pietanza, preparare in maniera elaborata modeste quantità, adottare un’etichetta su come si mangia, che va a sostituire il quanto si mangia. Il moderno Galateo overo de’ costumi, di Giovanni Della Casa, pubblicato nel 1558, sintetizza l’etichetta di una classe sociale agiata a metà del secolo XVI, sottolineando il momento del pasto come occasione di corroboramento sociale.

Devianze alimentari

Ricoprendo il cibo un valore culturale e sociale ne consegue che la devianza alimentare non assume meramente una dimensione medica, ma che può essere ricondotta a una difficoltà di relazione con il complesso sociale di appartenenza. Se nell’antichità le devianze e le crisi di qualunque tipo potevano essere controllate e assorbite da specifici rituali, se nelle civiltà etnologiche i meccanismi di mediazione e le forme di controllo assurgevano a ricoprire una funzione simbolica e istituzionale, diversa è la condizione delle società odierne occidentali, opulente, multietniche e cosmopolite, prive di un rituale che coinvolga l’intera comunità e in cui la “patologia” rimane appannaggio del singolo.

Attualmente l’estetica non prevede la contemplazione del grasso, anche se nell’immaginario occidentale fino al secolo XIX le forme tondeggianti erano considerate un canone di bellezza generalmente apprezzato: grasso voleva dire ricco. Si pensi alle “Veneri steatopigiche” del Paleolitico, ai modelli greci, ellenistici e romani, alla donna seminuda che allatta nella Tempesta di Giorgione, alla Maya nuda di Goya, all’Eva dell’Adamo ed Eva di Klimt. Tuttavia, differentemente dal Giappone, dove è presente il tempio-stadio del Sumo, arrivato dalla Mongolia tramite la Corea, in cui il sumôtori non vive una semplice esperienza atletica, ma anche religiosa, poiché alla fine di ogni incontro offre alla divinità una carta consacrata, l’Occidente non ha mai conosciuto un luogo circoscritto, sacro e riconosciuto, in cui il grasso ricoprisse un ruolo di eccellenza.

Da un punto di vista medico i sintomi bulimici sono stati descritti a partire dal secolo XIX. Tuttavia la prima descrizione di un comportamento bulimico risale al secolo III a.C, nell’Inno a Demetra di Callimaco, in cui la malattia che colpisce il protagonista Erisìttone lo spinge a cibarsi senza controllo. Nell’universo culturale greco Erisìttone aveva abbattuto gli alberi sacri alla dea Demetra per farne mense su cui banchettare con gli amici. In altre parole il mito mostra, tramite la legge del contrappasso, le conseguenze che portano ad un livello sub-umano, la una violazione di un codice comportamentale. La trasgressione si traduce in un disordine devastante che provoca la distruzione della famiglia del protagonista, che simboleggia l’intera comunità umana. Di anoressia già si discuteva tra i secoli XVII e XVIII, ancora nel XIX secolo era circondata da un alone di misticismo: se la bulimia evoca il sub-umano, l’anoressia evoca il super-umano. Si pensi a Caterina da Siena e ad altre sante anoressiche medievali, che tramite il digiuno cosciente ambivano a superare il limite del corpo per ascendere al mondo divino. Il Giappone accanto ai sumôtoriconosce i miira, mistici ascetici che rinunciano a nutrirsi fino a raggiungere un processo di mummificazione che li farà chiamare i “santi dal corpo incorrotto”. L’Occidente non conosce un Budda pasciuto, ma un Cristo emaciato che nei primi secoli dell’impero romano supera la concezione del corpo come tempio atletico e concepisce la figura maschile come ostacolo al conseguimento dell’unione con il divino e la figura femminile come “materia” che trattiene l’uomo nel mondo. È una visione perdurante anche nel Medioevo, dove la donna viene spesso additata come strumento del demonio. Ciò spiega perché le estreme forme di ascesi alimentare abbiano coinvolto soprattutto le donne, che tramite questa pratica si riscattavano, abiurando il limite carnale e superando il diffuso disagio sociale che ruotava attorno alle loro forme. Quando il cibo viene rifiutato si mette in discussione l’intera struttura sociale, culturale e comunitaria che lo ha prodotto e che da esso viene a sua volta influenzato: da qui la nascita di appositi meccanismi volti a controllare la devianza che, se non sufficienti, vengono sostituiti dall’espulsione del “deviato”. Oggi che la bulimia e l’anoressia sono state adottate integralmente dalla scienza medica e sono state catalogate come malattie, vanno ad esprimere un disagio sociale e culturale e si rivelano tentativi per palesare l’incomodo esistenziale sempre più diffuso nella società contemporanea: il cambiamento delle scelte alimentari e le devianze alimentari, ovvero la rottura di una norma rituale, comporta un rifiuto di significati simbolici. Dietro al cibo, insomma, si nasconde molto di più di quello che può sembrare…dopotutto dietro ad un italianissimo piatto di pasta al pomodoro non si cela forse il desiderio di conoscenza proprio dell’uomo, quello che spinse Colombo fino al Nuovo Continente come un moderno Ulisse fino alle Colonne d’Ercole?

Fonti:

Dante Alighieri, Inferno

Carrara Lorena, Intorno alla tavola. Cibo da leggere, cibo da mangiare, Codice edizioni, Torino, 2014

(a cura di) Flandrin Jean-Louis, Montanari Massimo, Storia dell’alimentazione, Editori Laterza, Bari, 1997

Fernández-Armesto Felipe, Storia del cibo, Bruno-Mondadori, Milano, 2010

L’ora nel pranzo della storia, conferenza di Alessandro Barbero, link: https://www.youtube.com/watch?v=xxv426ym9LU

Scarpi Paolo, Il senso del cibo, Sellerio editore Palermo, 2005

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13 Dicembre 2021 – Redazione Co.Te.li – Fonte: L’Antidiplomatico

E’ stato più volte scritto che la tutela della “salute” per il governo Draghi è intesa come la cancellazione sistematica di tutti i diritti costituzionali garantiti. Il “super green pass” ne e’ un esempio!

Salute prima di ogni cosa comunque! (A PAROLE!) E cosa fa il Movimento 5 Stelle? Chiede di anticipare la direttiva europea per introdurre in Italia la sperimentazione OGM in agricoltura. Alla faccia della “salute” e della salvaguardia dell’economia italiana.

“Crocevia e Associazione Rurale Italiana chiedono il ritiro di una proposta di legge firmata da cinque parlamentari della Commissione Agricoltura, che accelera le procedure per l’emissione in pieno campo dei nuovi OGM “a fini sperimentali”. Sarebbe una svolta devastante per un paese che ha fatto del cibo la sua bandiera, oltre che una violazione del principio di precauzione.” Si legge in un comunicato dell’Associazione. 

Di che cosa si tratta? Nello specifico cinque deputati del Movimento 5 Stelle, membri della Commissione Agricoltura della Camera, stanno per avanzare una Proposta di Legge sul rilascio in ambiente dei nuovi OGM “a fini sperimentali”. Il partito che prima delle svolte con il Pd, Draghi e ora con la guida di Conte, aveva sempre fatto della contrarietà alla manipolazione genetica del cibo una delle sue bandiere, sta per voltare le spalle al principio di precauzione e a una politica basata sulla sicurezza alimentare e i diritti dei contadini.

L’editing del genoma fa parte di una serie di biotecnologie definite “di seconda generazione”, anche se si studiano ormai da una quindicina d’anni. I promotori le ritengono più precise e sicure nella loro capacità di modificare il DNA, oltre a chiedere che vengano esentate a livello europeo dagli obblighi della direttiva sugli OGM. Questi nuovi prodotti biotecnologici vengono propagandati come non OGM solo perché ingegnerizzano organismi della stessa specie, invece di incrociare specie diverse.

Le varietà ottenute con queste cosiddette New Genomic Techniques (denominate NGT, NBT o TEA), che il Movimento 5 Stelle cerca di sdoganare, vengono addirittura equiparate a piante mutate naturalmente. Un falso scientifico che ha fini meramente politici ed economici, curiosamente sovrapponibili a quelli grandi gruppi multinazionali e di parte dell’accademia, interessati a ottenere il via libera per la coltivazione di questi nuovi OGM per sfruttarne i diritti di proprietà intellettuale.

La proposta di legge è firmata dal presidente della Commissione Agricoltura Filippo Gallinella e dai deputati Chiara Gagnarli, Giuseppe L’Abbate, Luciano Cadeddu e Luciano Cillis. Con una modifica del decreto legislativo 8 luglio 2003, n.224, si propone di accelerare le procedure per l’emissione in pieno campo di varietà vegetali ottenute in laboratorio con tecniche di genome editing (New Genomic Techniques – NGT). Un fatto mai avvenuto finora per la ferma opposizione dei consumatori, degli agricoltori e delle organizzazioni ambientaliste e garantito da una legislazione nazionale dal 2000 (decreto Amato).

A tutto ciò si somma una sentenza della  Corte di Giustizia Europea,che nel 2018 ha esteso anche ai prodotti di queste “nuove” biotecnologie l’applicazione della  la Direttiva 2001/18 sugli OGM. Una sentenza storica, che equipara i prodotti delle NGT agli OGM, e li costringe alla tracciabilità e all’etichettatura, nonché a una rigorosa valutazione del rischio. Invece di applicare la sentenza, però, in Italia proseguono i tentativi ostinati di aggirarlo.”, si legge nel comunicato.

E ancora: “Il pronunciamento della Corte, infatti, è stato accolto come una iattura dalle industrie del settore, perché i consumatori europei sono radicalmente contrari agli OGM e difficilmente acquisterebbero questi prodotti se venisse riportata la dicitura in etichetta. Di qui il tentativo della Commissione europea e di numerosi stati membri di avviare una riscrittura delle regole sulla manipolazione genetica, liberando i prodotti dell’editing genomico dagli obblighi di legge.

Anticipando la proposta di Bruxelles, attesa entro il 2023, l’Italia, con la proposta di legge del M5S, inizia a cambiare le sue leggi che vietano – per i rischi di biocontaminazione – la sperimentazione in pieno campo degli OGM. “Siamo stupefatti da questa mossa del Movimento 5 Stelle, che rischia di esporre l’agricoltura alla contaminazione da OGM e alla biopirateria – dichiara Fabrizio Garbarino, co-portavoce dell’Associazione Rurale Italiana – Chiediamo ai parlamentari di ritirare la firma da questa proposta di legge, e alle altre forze politiche di respingerla con forza”. 

Ricordiamo, in conclusione, il programma del Movimento 5 Stelle, votato dalla base degli iscritti e avallato da 11 milioni di elettori nel 2018:
Agricoltura: il programma del Movimento 5 stelle per rilanciare settore agricolo. E nel 2019 al Parlamento Europeo stesso programma. La rete non dimentica. E non perdona. 

Il nostro paese rischia quindi a breve, senza una opposizione decisa dei suoi cittadini e dei suoi agricoltori, di perdere lo status di paese libero da OGM, con un danno economico incalcolabile.” conclude l’Associazione rurale italiana. La rete non dimentica. E non perdona. 

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[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.) che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia  Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale]

di Marzia MC Chiocchi

Epoca di grandi eccessi, quella che stiamo vivendo! Cio’ avviene persino in tema di dieta, e sta mettendo a rischio la nostra salute. Ad esempio, l’esasperata ricerca di cibo cosidetto “sano” può diventare, a lungo termine, pericoloso per i numerosi trattamenti e le sostanze che l’industria alimentare utilizza. Grazie all’aiuto di esperti del settore, analizziamo alcuni dei prodotti che, con più largo consumo, finiscono sulle nostre tavole.

Il Pomodoro

Era considerato il nostro “oro rosso” per il buon sapore e il colore pastello dai toni più o meno accesi, espressione di quella positività, energia e passionalità, caratteristiche tutte italiane. Ma la logica dei grandi numeri nella distribuzione mondiale, sta facendo perdere passo dopo passo la visione poetica di questo ortaggio, archiviandola come un mero ricordo, lasciandone vivere la sua genuinità solo a chi, più fortunato, riesce a coltivare il proprio ortaggio, fuori dalle logiche globali.

Semi made in “multinazionale”

il seme del pomodoro, infatti, come quello di altre verdure non e’ più solo in mani italiane. Sugli scaffali di tanti supermercati le confezioni della passata, dal colore invitante, spesso nascondono differenti verità. Esempio: il mercato dei semi da conserva è nelle mani delle multinazionali, che chiedono un prodotto rosso brillante, omologato nella forma, consistente nella polpa, non soggetto a spaccature. L’industria chiede di “creare” un pomo dalla buccia resistente perché non si rovini e non si rompa durante la fase di raccolta automatizzata. L’intera coltivazione deve essere omogenea per evitare anche scarti e sprechi. Per questo, molta selezione viene effettuata in laboratorio, perché siano soddisfatte tutte le esigenze e richieste del commercio globale. In questo modo vengono preparati semi che producono pomodori con più o meno acqua, colore più o meno rosso, nelle varianti per conserva e da tavola, e nel rispetto anche della forma e della grandezza. Tutto deve essere coltivato secondo regimi omologati, come le multinazionali esigono.

il Ministero delle Politiche Agricole, a tal proposito, ha elaborato il catalogo delle varietà e specie di ortaggi derivanti da sementi ibride di laboratorio, identificate da codici specifici, a conferma di quanti semi siano nelle mani delle compagnie sementiere.

Come aggirare il sistema

La produzione è quindi blindata e i semi non conformi non possono essere scambiati sul mercato ufficiale. Per aggirare il sistema, in Europa, molti attivisti che intendono preservare la vera agricoltura biologica, inviano ai Paesi più poveri (in America Latina in particolare), grosse quantità di semi tradizionali e naturali, nascosti nel fondo delle confezioni di prodotti da esportazione come i biscotti.

Pomodoro San Marzano

Se non adottassero questo stratagemma l’America Centro Meridionale, ad esempio, sarebbe costretta a sborsare alle multinazionali, ingenti somme di danaro di cui non dispone, per avere sementi di natura ibrida. Questo meccanismo che permette di superare le dogane senza problemi, nel tempo si e’rivelato interessante anche per salvaguardare le biodiversità.

Per limitare i danni, Toscana, Campania e Puglia, trent’anni fa costituirono la Banca delle Sementi, grazie alla quale si sono salvati i semi tutti naturali del pomodoro San Marzano, che rimangono di proprietà delle tre Regioni. Infatti sono pomi che preservano il sapore, dalla buccia morbida, che devono essere pelati manualmente, ideali per la pizza e per la preparazione di sughi gustosissimi, di ottima qualità’ e più costosi. Tutte le caratteristiche che il frutto coltivato da semi ibridi ha perduto. Inoltre è sempre più dilagante l’uso di pesticidi maturandi, irrorati sui pomi ancora acerbi, che li fanno crescere piu’ velocemente per i bisogni del mercato.

Gelato

Due le qualità per la distribuzione: artigianale e industriale, ma anche la prima può nascondere delle insidie per la presenza di numerosi coloranti, e per il mancato rispetto di alcuni procedimenti che dovrebbero rendere il prodotto tale al 100%. Il vero gelato artigianale prevede una lavorazione più lunga rispetto a quella industriale, grazie all’utilizzo di ingredienti naturali semplici e freschi.

Purtroppo non esiste una regolamentazione certa che determini la completa artigianalita’ del prodotto. Il gelato, in Italia, può avvalersi anche di semilavorati con pasta di frutta al 100% o con miscele più complesse. Per la sua tutela e’ nata l’Associazione Gelatieri che, seguendo un codice etico, produce il profitto senza l’uso di coloranti, grassi idrogenati, polveri varie e aromi, con il solo scopo di rispettare la qualità e soddisfare il vero gusto. Ma di questa associazione fa parte un numero troppo ridotto di gelaterie, rispetto alle numerose esistenti in Italia.

Sapore artificiale

Produrre con soli ingredienti naturali è sempre meno conveniente. Prendiamo ad esempio la Vaniglia. La bacca naturale costa qualche centinaio di euro al chilo. Per questo e’ molto più economico acquistare i preparati in busta al sapore di vaniglia, che ne esprimono l’aroma. Per crearli, spesso, viene utilizzata la crusca di riso che, lavorata in laboratorio fornisce una polvere somigliante alla vaniglia. L’industria aromatiera, negli anni, e’ stata quindi capace di riprodurre numerosi aromi, clonando la struttura dei singoli ingredienti, e individuandone addirittura le particelle molecolari. Il mondo globale dell’alimentazione ha poi lavorato su vista e psicologia, studiando la stimolazione creata dagli aromi, sia per il gusto che per l’olfatto, accentuandone forzatamente il sapore.

Pane

La farina ingrediente fondamentale per l’impasto del pane, deriva dal chicco di grano da cui si estrae anche crusca, glutine e amido, tutte sostanze naturali che, per le varie esigenze del mercato, troppo spesso vengono lavorare perdendo la loro genuinità. Il pane quotidiano non e’ sempre tradizionale e fresco come vogliono farci credere. In molti casi la sua lievitazione e’ così rapida che, in tre ore, il pane e’ pronto per le nostre tavole. I panificatori che non prendono, per così dire, “scorciatoie”, fanno lievitare l’impasto dalle 24 alle 48 ore come tradizione vuole, per avere un prodotto sano e di massima digeribilità’. In caso contrario si fa uso di miglioratori, ovvero, additivi. Una vera assurdità. Ma l’Europa tutela i furbi e l’ultimo regolamento approvato nel 2011 consente l’aggiunta di sostanze ed enzimi come i coadiuvanti tecnologici. In molti supermercati il pane acquistato già confezionato può essere stato anche preincartato settimane prima, dopo che l’impasto e’ stato scongelato per essere infornato, finendo, poi, sugli scaffali come prodotto fresco. Procedure ammesse dalla legge per la grande distribuzione, che fanno un’ingiusta concorrenza ai panificatori privati.

Per accelerare la lievitazione l’Unione Europea ha approvato l’utilizzo di una serie di sostanze (Fosfilifasi, Alfa Beta Amilasi, Emicellulasi, Cilanasi, Transglutaminasi, Amilasi malto genica), da cui spesso traggono origine le numerose intolleranze alimentari.

L’industria del pane e le intolleranze alimentari

Farina malto genica: può dare allergia respiratoria e irritazione gastrointestinale

Farina integrale: poco raffinata, contenente un’alta percentuale di fibre, utilizzata per la produzione di biscotti e di altri prodotti confezionati, spesso non è proprio tale, ma nasce dalla miscela di farina bianca mischiata a crusca. Con la produzione industriale si sta esaurendo anche la cultura del lievito madre, che prevede tempi lunghi di preparazione a vantaggio del lievito commerciale a fermentazione rapida.
Così, negli ultimi cinquant’anni, è stato stravolto anche il pane, l’alimento più antico e diffuso, rendendo molte persone intolleranti al glutine, una delle proteine da cui e’ sempre stato composto. Il glutine di per se è di difficile digestione, ma può essere più facilmente digeribile grazie ad una lievitazione di 16/18 ore, che ne evita intolleranze anche gravi, per aver lasciato scaricare il carico tossico dell’enzima. Tra queste, la più diffusa è la celiachia, infiammazione cronica dell’intestino tenue, che sta rischiando di dilagare come un’epidemia.

Il mondo cambia anche sulla tavola

Tanti i disastri alimentari, che dimostrano quanto l’ambiente e la cultura stiano cambiando velocemente senza che il nostro organismo riesca ad adattarsi allo stesso ritmo delle esigenze commerciali globali. Attenzione, invece, a chi non ha problemi a digerire il glutine. Chi lo elimina a prescindere, rischia di assumere più grassi e calorie che potrebbero creare altri problemi, in quanto il glutine va sostituito con altre sostanze. Eliminarlo significa necessariamente dover assumere, ad esempio, più carne, verdure, frutta, olio d’oliva e noci.
Ma il mondo, con la sua evoluzione fuori controllo non si ferma più, e per ristabilire un certo equilibrio, dovremmo tornare indietro di almeno 2/3 generazioni. Ma non essendo più possibile, dovremmo solo essere capaci e coerenti nel saperci assumere le responsabilità di tutte le conseguenze di scelte spavalde.