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25 Maggio 2023 – Redazione

Secondo la Corte dei Conti d’Oltralpe, in un rapporto pubblicato lunedì 22 maggio, il governo francese dovrebbe “definire e rendere pubblica una strategia per ridurre” il numero di vacche allevate in Francia al fine di ridurre le emissioni di gas serra. Insomma se Macron vuole ridurre il CO2 deve sterminare un po’ di mucche.

Il rapporto viene pubblicato nello stesso giorno in cui il Primo Ministro Elisabeth Borne presenta un piano d’azione governativo che valuta la riduzione dei gas serra per i principali settori dell’economia e quantifica lo sforzo per l’agricoltura, con priorità alla riduzione dell’impatto degli allevamenti e dei fertilizzanti azotati.

La Francia, il più grande produttore europeo di carne bovina e il secondo produttore di latte dopo la Germania, ha circa 17 milioni di capi di bestiame. L’allevamento di bovini rappresenta l’11,8% delle emissioni del Paese.

Il bilancio dell’allevamento bovino per il clima è sfavorevole“, scrive la Corte dei Conti in una relazione sul sostegno pubblico agli allevatori.

La Corte sottolinea che il sequestro di carbonio da parte delle praterie dove pascolano gli animali è “ben lungi dal compensare le emissioni” dell’allevamento. Sul bilancio dell’allevamento peserebbero, secondo loro, soprattutto le emissioni di metano: la produzione di questo gas, che ha un effetto molto riscaldante ed è prodotto dalla digestione dei ruminanti e dei loro escrementi, rappresenterebbe, il 45% delle emissioni agricole francesi!!!!!!!

Se la Francia vuole rispettare i suoi impegni di riduzione delle emissioni di metano (…), dovrà necessariamente ridurre in modo significativo il suo patrimonio zootecnico”, afferma l’istituzione, che chiede al Ministero dell’Agricoltura di “definire e rendere pubblica” una strategia in questo settore.

Non più di 500 g a settimana nel piatto

La Corte osserva che il ministero le ha comunicato “le sue ipotesi sull’evoluzione del patrimonio bovino”, che potrebbe scendere a circa 15 milioni di capi nel 2035 e a 13,5 milioni nel 2050. La riduzione degli allevamenti è iniziata da tempo (-10% in sei anni). Ma “questa riduzione rimane incontrollata e non è realmente gestita dallo Stato, a scapito degli agricoltori“, osserva la Corte. Siamo in Francia, non basta il mercato sfavorevole a distruggere un settore, è necessario che intervenga lo stato.

Per l’istituzione, il calo del bestiame non inciderebbe sulla “sovranità” della Francia in termini di carne rossa, a condizione che i consumatori seguano le raccomandazioni delle autorità sanitarie di non consumare più di 500 grammi a settimana (soglia attualmente superata dal 28% degli adulti): infatti normalmente questa carne verrebbe semplicemente acquistata da altri paesi dove questi obiettivi non vengono seguiti in modo stretto, come l’Argentina o il Brasile.

Allo stesso tempo, raccomanda al Ministero di “sostenere meglio gli allevatori più in difficoltà” affinché possano “riorientarsi verso altri sistemi di produzione o cambiare il loro orientamento professionale”. Cioè cambiare mestiere. Magari gli agricoltori potrebbero entrare in politica.

Più in generale, ritiene che gli attuali regimi di aiuto agli allevatori siano “molto costosi” (4,3 miliardi di euro nel 2019). Certo Macron potrebbe tagliare questi aiuti, scatenando altri sommovimenti sociali a quelli già in atto per la riforma delle pensioni. Un modo per buttare un po’ di benzina sul fuoco.

 

Fonte: Scenari economici (Giuseppina Perlasca)

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di Marilena Messina

Mi reco spesso per motivi professionali in Svizzera

In questo travagliato periodo di regole assurde e restrizioni varie, ho da sempre notato una certa differenza di atteggiamento da parte del popolo svizzero e della sua politica, rispetto a quella italiana.

Il sistema politico elvetico si basa sul federalismo e la democrazia diretta (referendum popolari), che attribuiscono ampia autonomia ai 26 cantoni rispetto alla Confederazione.

In questo periodo, infatti, all’interno degli stessi cantoni sono esistite regolamentazioni diverse e misure differenziate. In generale quello svizzero è un popolo molto libero che da sempre mal digerisce imposizioni.

Le mascherine, ad esempio, sono diventate obbligatorie solo in alcune circostanze e luoghi al chiuso, mal tollerate all’aperto anche se in aree di affollamento, come il lungolago, le zone turistiche, i centri cittadini ma solo, in alcuni cantoni o città. Moltissimi non la indossano, e anche da me quasi mai usata, se non in luoghi al chiuso ed a stretto contatto con le persone.

Ho notato, però, con l’andar del tempo, un’ omologazione sempre più evidente con la narrazione standard europea. Ultimamente si parla molto di vaccini come unico modo per uscire dalla pandemia, quindi con un’informazione sempre più schierata ed allineata da una certa volontà politica del tutto simile a quella italiana.

La Svizzera, paese neutrale, non fa parte dell’UE e ciò determina la sua ricchezza politica, oltre a quella economica, per la detenzione di grandi capitali provenienti dall’estero. Gli interessi economici sono, quindi, sempre stati alla base di ogni scelta e azione politica.

Purtroppo sembrerebbe che gli stessi interessi, che prima la spingevano alla neutralità in ogni settore ed a scelte prettamente nazionaliste, adesso stiano spingendo ad una sorta di “ europeizzazione

In questo periodo di pandemia i cantoni hanno perso molto del loro potere decisionale autonomo, e sono stati costretti a “digerire” le decisioni di un governo centrale del tutto assimilabile al nostro CTS Italiano, che ha diretto ed emanato le regole covid.

La nota positiva è che sono stati erogati miliardi di franchi per imprese e dipendenti, costretti al lockdown e a conseguente mancanza di lavoro.

Questi denari sono tutti arrivati a differenza dell’Italia.

La nota negativa è il foraggiamento economico ai media svizzeri (proprio come avviene in Italia) e il continuo tentativo di imporre limitazioni alle libertà individuali. Si parla infatti anche qui di covid pass per la partecipazione ad eventi, manifestazioni, ingressi in ristoranti ecc…Atteggiamento molto sgradito ad una grande fetta della popolazione e alla politica di centrodestra.

Tutte queste regole dovrebbero comunque terminare alla fine di quest’anno (2021)

Nel frattempo, proprio per questo motivo, il 13 giugno scorso e’ stato indetto un referendum, che prevedeva altre quattro tematiche su cui decidere

1) acqua potabile

2) no uso pesticidi sintetici

3) legge covid

4) legge contro terrorismo, più poteri a polizia

5) legge CO2.

Purtroppo gli interessi economici di cui prima ho parlato, hanno spinto circa il 61% dei votanti a favore delle regole covid (che sarebbero state abrogate da subito se avesse vinto il no), permettendo così alle 100.000 imprese di continuare ad usufruire dei finanziamenti governativi accreditando, nel contempo, tutte le stesse regole liberticide contro cui una gran parte del popolo e dei politici di centrodestra stanno lottando.

Gli stessi media continueranno a ricevere i finanziamenti proprio come in Italia, destando molta preoccupazione per una mancata informazione libera e non di parte. Il 61% degli elettori ha anche votato favorevolmente per continuare ad usare pesticidi chimici e antibiotici nelle batterie di allevamento. La motivazione è da ricercare nella maggiore produzione autonoma di approvvigionamento alimentare che, senza l’uso degli stessi, costringerebbe la Svizzera ad una maggiore importazione per il fabbisogno nazionale.

In definitiva, come avevo già sottolineato, i motivi economici sembrerebbero comunque sempre prevalere, omologandosi al resto dei paesi UE quando conviene ( legge Covid), rimanendo nazionalisti in altri momenti ( legge pesticidi).

L’impressione sempre più accreditata è che anche la Svizzera si stia incamminando verso una veloce politica Euro Globalista, staccandosi solo a tratti per pura convenienza.

Ma quanto la Svizzera è veramente a favore del popolo?

Potrà’ continuare a mantenere il piede in due scarpe?

A volte nazionalista a volte Europeista. Quanto tempo passerà prima che l’UE chieda il conto?

All’indomani della tornata referendaria ecco emergere i primi malumori di un popolo da sempre democratico e libero, che non comprende il perché di questo risultato controcorrente. Da qui, un pensiero sempre più assillante di boicottaggio elettorale…e l’Italia come gli USA, sanno cosa significa!!!