di Luca Scavone

Roma. Campidoglio. Ore 18.00. Camera ardente di Raffaella Carrà.
Ebbene sì Raffa, oggi hai fatto tanto silenzioso RUMORE.
Il rumore, rispettoso e un po’ melanconico, di chi è cresciuto con il tuo equilibrato varietà, con il tuo pacato far televisione e intrattenimento, con la tua musica fragorosamente vera e dolcemente scatenata.
Oggi, appena aperta la camera al pubblico, almeno mille persone stavan già in attesa di entrare.
Chi portava fiori gialli, dal colore amato da Raffaella; chi ascoltava, a musica sommessa, le sue hit, rubando il sorriso di tutti; nonne con nipoti e figlie, riconoscenti ad una artista italiana di un’Italia che non c’è più; anche tanti latino-americani, i quali, via social e skype, ‘compartivano’ il momento ai familiari lontani e in patria.

Tra i tanti in fila, intervisto Paola, che, in lacrime, dice: ‘vorrei dire grazie a Raffaella, da parte di tutte le donne italiane, perché ci ha fatto capire il valore del corpo femminile e come usarlo, con eleganza e senza mai volgarità’.
Più avanti un uomo annuisce, col piglio di chi ha vissuto i controversi e scintillanti anni 70, e chiosa: ‘Raffaella è anche donna precorritrice dei tempi. Nel 1963 prese parte ad un film controverso sulla resistenza italiana, ‘Il terrorista’. Quasi un prodromo del disincanto del ’68’.
Attendo, insieme agli altri fan, guardandomi intorno: tutti gli altri blogger, corrispondenti e giornalisti, si assiepano sulla fila, quasi a strappare un briciolo di continuazione di spettacolo. Tanti i ricordi: Raffaella era una di famiglia.
Molti ventenni e trentenni attendono silenziosamente rumorosi: ricordano tutti Carramba, la fragorosa risata della Raffa, il suo inarcare le spalle quasi a far plastica la polvere di stelle, la stessa che le aveva donato la regia di Falqui.
Mario Coco, un mio coetaneo, comico e cineasta indie, amante della televisione ben fatta, ricorda che, abitando accanto casa sua per un periodo, aveva potuto tenere una conoscenza con lei cordiale e sincera. Ricorda di un suo invito e della sua delicatezza nello scriversi con uno scambio epistolare. Mario fa anche memoria con dolcezza di una sua chiamata, per scusarsi del non presenziare ad una sua prima a teatro. Modi di fare di un’artista vera.
Mentre sento e vedo tutto questo attorno a me, non posso non fare caso a una cosa, piccola e importantissima allo stesso tempo.
Il leit motiv di questi giorni di saluto a Raffaella sono le scale.
Quelle del Campidoglio, dislocate all’ingresso, ad inzio fila, e protratte, numerose, per giungere all’entrata della camera.
Quelle antistanti la Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, in cui si celebreranno le esequie venerdì prossimo.
Scale: le medesime che la Carrà ha dovuto scendere, salendole prima dal dietro le quinte, per fare degno ingresso in palcoscenico.
L’ultima entrata scenica.
L’ultimo palcoscenico: l’ultimo sorriso donato al suo pubblico.
Dal Campidoglio e da una Roma torrida, pari all’entroterra della tanto amata Spagna di Raffaella, è tutto.
Con in cuffia ‘Fatalità’ chiudo l’articolo e vi auguro una vita che sappia di varietà.
Grazie Raffaella.

in coda alla camera ardente in Campidoglio