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Un principio costantemente disatteso, che va contro il diritto di ogni cittadino di essere informato e di poter farsi un’opinione, grazie a quella che dovrebbe essere la trasparenza di uno Stato che si definisce “fondato sulla Democrazia”. 

di Roberto Roggero

Lo scorso 3 maggio si è celebrata, in tutto il mondo, la Giornata della Libertà di Stampa. Un evento che ha avuto, e continua ad avere, tutto il sapore della più goliardica presa in giro. Eppure, il diritto di libertà d’informazione e di opinione è sancito dall’articolo 21 della Costituzione, che come molti altri è diventato nulla di più che carta straccia. In particolare, l’articolo 21 dice: “La Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”. E’ solamente una ulteriore dimostrazione del contrario, come ciò che si legge nelle aule dei tribunali, dove il principio fondamentale “La legge è uguale per tutti”, è relegato al rango di barzelletta. Una barzelletta grazie alla quale ancora oggi un giornalista può incorrere in condanne da scontare in carcere per avere affermato o scritto ciò che non è consentito scrivere o affermare, e che nella maggior parte dei casi è la verità. Certo, che la verità sia scomoda o spaventi chi ha la coscienza non troppo luccicante, non è un segreto per nessuno. 

Al discorso si collega il mancato riconoscimento della categoria del libero professionista, o Free Lance, da cui proviene la mole maggiore di informazioni, a tutto vantaggio di chi è inserito in grandi strutture con grandi budget e grandi retribuzioni. Una situazione che, per molti, è di costante precariato, e che limita pesantemente la libertà di informazione, fino a operatori dell’informazione apertamente minacciati, o peggio. Una situazione dove l’etica dell’informazione è una aleatoria utopia. 

Se però non cambia la cultura dell’informazione, non può esserci una legge che stabilisca dei principi di uguaglianza o che garantisca una libera informazione. E’ quindi necessario un dibattito culturale prima che politico, e riconoscere il fatto che se l’informazione ha un grande potere, diventa automaticamente bottino di guerra.

Dal poco invidiabile 41° posto, ultima in classifica in Europa, e con circa 20 giornalisti sotto scorta, l’Italia celebra la Giornata Internazionale sulla Libertà di Stampa, istituita nel 1993 dall’assemblea generale delle Nazioni Unite. Secondo l’ultima pubblicazione ufficiale di Reporter Senza Frontiere, in oltre 130 Paesi nel mondo l’esercizio del giornalismo “vaccino principale” contro la disinformazione è “totalmente o parzialmente bloccato”. Insomma, non è possibile che ci siano giornalisti che guadagnano 10 euro (lordi) ad articolo, lavorando in contesti di pericolo e precarietà, mentre altri percepiscono mensilità a svariati zeri svolgendo il lavoro solo dietro a una scrivania. E se anche il presidente della Federazione Nazionale della Stampa, Beppe Giulietti, si è detto d’accordo in linea di principio, la stessa Federazione non ha ancora fatto nulla per cambiare la situazione… 

Durante tutta la durata della seconda guerra mondiale, e nell’immediato dopoguerra, la stampa venne sottoposta a vari limiti e condizioni, in parte derivate dalla legislazione che regolava la libertà di stampa nel Regno d’Italia e poi passata attraverso le imposizioni del regime fascista.  

Molte delle leggi che regolano la libertà di stampa nella Repubblica Italiana provengono dalla riforma liberale promulgata da Giovanni Giolitti nel 1912, che istituì anche il suffragio universale per tutti i cittadini di sesso maschile. Per diversi aspetti, le condizioni in cui molti operatori dell’informazione svolgono il proprio lavoro, non si è discostata molto dall’Italia di Giolitti o dalle norme stabilite dal “Codice Rocco”, cioè il Codice di Procedura Penale elaborato dal ministro della Giustizia del governo fascista, risalente al 1930. Si pensi che diversi articoli del “Codice Rocco” riguardanti la libertà di stampa, sono stati abrogati solo pochi anni fa, come l’Art.57 che stabiliva: “Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati (528, 565, 596bis, 683, 684, 685), è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”. O come l’Art.303 (abrogato solo nel giugno 1999) che stabiliva: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più fra i delitti indicati nell’articolo precedente è punito, per il solo fatto dell’istigazione, con la reclusione da tre a dodici anni. La stessa pena si applica a chiunque pubblicamente fa l’apologia di uno o più fra i delitti indicati nell’articolo precedente.” O ancora l’Art.662 (abrogato nel 1988), nel quale si legge: “Per l’esecuzione delle pene accessorie, il pubblico ministero, fuori dei casi previsti dagli articoli 32 e 34 del codice penale, trasmette l’estratto della sentenza di condanna agli organi della polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza e, occorrendo, agli altri organi interessati, indicando le pene accessorie da eseguire. Nei casi previsti dagli articoli 32 e 34 del codice penale, il pubblico ministero trasmette l’estratto della sentenza al giudice civile competente. Quando alla sentenza di condanna consegue una delle pene accessorie previste dagli articoli 28, 30, 32 bis e 34 del codice penale, per la determinazione della relativa durata si computa la misura interdittiva di contenuto corrispondente eventualmente disposta a norma degli articoli 288, 289 e 290”. 

Insomma, di fatto, nell’Italia democratica del 21° Secolo, il “Codice Rocco” è tutt’ora in vigore, pur modificato dalla Corte Costituzionale in diverse riprese, nel 1945, nel ’54, nel 1982 e nel ‘99. Poi più nulla. 

In sostanza, molte norme di epoca fascista, che regolano questioni minori come la necessità di autorizzazione per la stampa, sono ancora in vigore, e vengono ignorate o interpretate in modo edulcorato dalla maggior parte della pubblica amministrazione. 

Il mancato adeguamento della legge penale e amministrativa italiana alle nuove tecnologie, costringe a interpretazioni talvolta distorte, restrittive, e con effetti molto pericolosi, specialmente se si pensa che nell’era di internet (cominciata ormai da decenni) una delle conseguenze paradossali è che difficilmente sarebbero sanzionabili provider di siti web pornografici o addirittura pedo-pornografici che abbiano la loro sede al di fuori del territorio della Repubblica. Nessuna legge regola le frequentissime intrusioni di “pubblicità” non autorizzata in siti ufficiali, e le stesse norme in vigore posso portare anche a una condanna o a una assoluzione a seconda della sola interpretazione del magistrato incaricato. 

Si pensi che nel 2008, a causa di una interpretazione troppo restrittiva di articoli del codice penale, relativi all’obbligo di registrazione presso il tribunale di ogni tipo di pubblicazione, (esteso anche a qualsiasi sito internet, sebbene non concepito per tale utilizzo) lo storico Carlo Ruta venne condannato in quanto gestore di sito web per “stampa clandestina”, finché la Corte di cassazione ha deciso l’assoluzione. 

A questo punto, che senso ha leggere l’Art.21 della Costituzione, secondo il quale “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”? Stesso discorso per il principio secondo il quale la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. 

Sulla base del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, una larga e trasversale parte delle forze politiche ha sempre trovato motivo per restringere la libertà di espressione, giustificando la presenza di un monopolio della tv di Stato in campo radiotelevisivo, adducendo il motivo che le frequenze disponibili sull’etere sono un numero relativamente limitato. 

Codice Rocco a parte, le successive leggi introdotte dal Parlamento, a partire dal 1948, non hanno portato particolare giovamento. Proprio nel febbraio ’48 fu promulgata la nuova Legge n.47 sulla stampa, con cui erano dichiarate decadute le disposizioni del regime fascista. 

La nuova legge stabiliva, tra l’altro, quali indicazioni obbligatorie dovessero apparire sugli stampati e inoltre definiva le prerogative del direttore responsabile e del proprietario o editore, e fissava le regole per la registrazione delle pubblicazioni periodiche con norme relative al reato di diffamazione a mezzo stampa (responsabilità civile, riparazione pecuniaria). 

Insomma, la situazione è in stallo, perché anche se nel luglio 2005 il Parlamento ha votato l’abolizione della condanna a pene detentive in seguito al reato di diffamazione a mezzo stampa, gli emendamenti non sono stati tramutati in leggi. 

Naturalmente, la questione del conflitto di interessi in merito alla proprietà di televisioni, giornali e incarichi istituzionali è ancora un altro universo che meriterebbe un discorso a parte, e ancora oggi senza soluzione. 

Tutto questo porta quindi ai rapporti di Reporters Senza Frontiere che, nel 2007 poneva l’Italia al 35° posto, nel 2008 al 44° e, in una parabola discendente che sembra non avere freni, con il nostro Belpaese preceduto da Jamaica Namibia, Costa Rica, Ghana, Botswana e Burkina Faso e ultimo in Europa, oltretutto definito “particolarmente soggetto a censura”, con casi ampiamente documentati. Per altro, l’Italia ha sì guadagnato un primo posto, diretta conseguenza della situazione sulla libertà di informazione: medaglia d’oro per la popolazione considerata più ignorante del continente europeo. 

Esempi se ne possono citare a non finire, ma uno dei più eclatanti è stato citato nel Rapporto Freedom House 2004, quando Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, era proprietario del primo gruppo televisivo privato del Paese, nonché della prima casa editrice nazionale, con rappresentanti nella Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla RAI. Il problema, però, sta a monte: anche se la legge in teoria limita il controllo dei politici sulle loro proprietà, non fa divieto di possedere compagnie mediatiche, a differenza degli Stati Uniti, dove il controllo dei media è interdetto ai politici e dove al Presidente si applica il “blind trust”. Ci aveva provato, con risultati che non si possono non definire “ridicoli”, l’allora ministro Gasparri con la proposta di legge sulle frequenze radiotelevisive, una delle maggiori trovate comiche degli ultimi tempi. 

Un ultimo recente e vergognoso esempio, che non ha bisogno di commenti, è il manifesto apparso per le strade della capitale, nel quale sono etichettate alc999une testate e relativi direttori o editori, come dedite alla apologia del fascismo. Giornali che esercitano il diritto di libertà di stampa garantito dalla Costituzione. Da notare che, nel manifesto, non compaiono ad esempio, i giornali di partito, manifestamente di destra o meno. Secondo questo principio, che posto dovrebbero occupare testate come “Il Secolo d’Italia”? 

Fermo restando che è semplicemente ridicolo attaccarsi ancora a principi ormai anacronistici come “Destra” o “Sinistra”, nel minestrone ormai andato a male dell’odierno agone politico, chi scrive non fa mistero di appartenere a una ideologia non certo derivante dalla Destra storica. Tutt’altro. Eppure scrivo in difesa del principio della libertà di stampa in quanto tale, a prescindere dal fatto che un giornale appartenga o meno a una ideologia. Un giornalista o un operatore dell’informazione che sia fedele al principio della verità oggettiva, è semmai critico soprattutto verso la propria appartenenza, perché è fin troppo facile puntare il dito contro il “nemico”. Verità e libertà di pensiero non hanno colore o ideologia. Verità e libertà di pensiero sono verità e libertà, senza accessori o aggettivi. 

Parabola canora di una società allo stremo

di Luca Scavone

Per molti di noi tanti sballottamenti in questi 14 mesi. Non citerò statistiche di sorta: contra factum non valet argumentum. Che tutto per noi, da marzo 2020, sia cambiato è palese anche al bullone dei bus stracolmi.

Scrivo questa sorta di resoconto personale, ma non troppo, a seguito della vittoria dei Måneskin all’Eurovision Song Contest, con il loro ‘Zitti e Buoni’. Mi hanno ispirato, per così dire.

Quello che ho vissuto in questo biennio è stato un andirivieni di varia umanità e vario imbarbarimento, come specializzazione necessaria (menomale!), nel mio lavoro.

In piena pandemia son passato da un sipario semiaperto – con un bella gavetta precedente e da prospettarsi ancora – sul piccolo schermo, per giungere alla vita del cameriere poliglotta, ex studioso di Canto Lirico cantante per gli avventori stranieri, nella Roma ‘semi-ristretta’ dell’estate del 2020.

I miei Trent’anni vissuti tra il periglio delle onde di qualcosa più grande di me.

Adesso, nondimeno, dei ventenni hanno dato voce a quanto sento di dire a chi ancora vuol ostinarsi a far orecchie da mercante: ‘zitti e buoni’.

Qui, nella vita comune di chi in 14 mesi si è reinventato 3 volte, minimo (!), non c’è spazio per rivendicazioni inutili, bensì di costruzione senza parole vane al vento.

Il fatto che abbiano vinto quattro ragazzi con un rock in pieno stile di cinquant’anni addietro mi fa sperare.

C’è voglia di vero, al di là delle parole inutili dei sempre soliti discorsi mal riflessi, sia giornalistici, sia musicali, sia economici.

Io adesso sono un copy per una azienda di mobilieri. Pre-pandemia ero blogger e facevo capolino in TV. Pochi mesi a seguito del mio compleanno, eccomi in casa, come tutti, senza smartworking e stipendio assicurato (con annesse lamentele per il troppo lavoro agile da remoto – magari l’avessi avuto io! ).

La mia dignità e le mie belle speranze, uguali a quelle di tutti i miei coetanei, sparite, evacuate come qualcosa di nocivo, senza un barlume di progettualità, che è necessaria, voglio sottolineare, anche in tempo di crisi e ‘guerra’.

Non sto lamentandomi. Si lamenta virilmente chi, con la voce, ha vinto Sanremo 2021 prima e l’Eurovision poi: ‘Zitti e Buoni’. A noi, poveri ‘popolani’ (vittime, a detta di alcuni, di populismo), volevan dirlo da tutto l’etere; loro, i Måneskin, l’han detto, a nome dell’interezza del popolo non populista, a tutto l’antico continente, che propinava quel ‘taci’ men che lirico.

Adesso le nostre vite riprendono corso, ma questioni affiorano ancor più pulsanti nella mia voglia di logicità sui fatti, i quali,  con loro fenomenologia,‘si danno’ crudi all’intelletto di chi li vuol vedere. Alcune cose forse avrebbero dovuto essere lette dapprincipio diversamente?

Il periglio poteva essere meno procelloso. Evito la parola affettata e dico scarno: le metodologie e le scelte tenute sono state le più logiche e inerenti ai fatti?

La sofferenza di chi ha dovuto barcamenarsi tra sussidi e mancanza di lavoro, come anche lontananza dagli affetti, potevano evitarsi?questioniamoci

La questione è aperta e questo articolo non vuol dire altro che ciò: questioniamoci. Davvero. Con rigor di intelletto e doverosa logicità. ‘Zitti e buoni’: che parlino i fatti e la loro insita logicità, senza orpelli argomentativi inutili e devianti.

Lo dobbiamo a tutti quelli che hanno dovuto cambiar vita o ancora non riescono a uscire dall’impasse di questi 14 mesi.

‘Contra factum non valet argumentum’

di Marzia MC Chiocchi

Era gia’ tutto previsto. Gli “Illuminati” sopravvissuti alla seconda guerra mondiale e coloro che, alcuni decenni dopo, avrebbero saputo ben interpretare la storia del 1900, non potevano non tener conto che, le scorie della follia umana alimentata da uomini immondi e malati di mente, colpevoli dello sterminio di milioni di uomini nei campi di concentramento, sarebbero ricadute sulla terra sottoforma di eventi nefasti. E cosi, nel 2020, anno non scelto a caso, secondo calcoli chirurgici ben precisi, si diffonde una “pandemia” dai contorni inquietanti non solo per i risvolti sanitari, ma sopratutto per la gestione di una politica volutamente negletta e deplorevole, uniformata e globalizzata in un unico progetto…dominare i popoli insinuando la paura, fino allo stremo tentativo di anestetizzare le menti pensanti. Cio’ che sta accadendo, tolta la parte di innegabile verita’, e’ a dir poco paradossale. Con modi e strategie, apparentemente  meno violenti, ma in realta’ sempre molto invasivi, si sta ripresentando una forma di dittatura che pensavamo superata. La sua rinascita dalle proprie ceneri si sta manifestando con un parterre di azioni adeguate ai tempi senza, pero’, cambiare nella sostanza. Lo scopo, ha alla base il tentativo di togliere la liberta’ con raffinata strategia, in nome di un’attenzione e di un bene che, raramente e per brevissimi periodi di lucidita’, i politici poltronari hanno manifestato nei confronti dei loro popoli.

Per addentrarci nell’argomento partiamo da lontano. L’UE, esattamente 20 anni fa, ha portato a compimento “IL PROGETTO” di una classe oligarchica, assetata di denaro e potere, priva di qualsiasi fondamento etico e morale, avvolta nel mantello della piu’ astuta massoneria, da sempre a caccia di soluzioni di estrema misantropia sopratutto nei confronti della classe media. Inizialmente lo ha fatto in maniera indolore, instillando nella societa’ europea, con strumenti e strategie che il poeta latino Giovenale avrebbe definito PANEM E CIRCENSES, quel veleno chiamato globalizzazione che, goccia dopo goccia, ha portato buona parte delle masse ad una confusione cerebrale quasi irreversibile. Ma la Storia che ha decretato il declino della coscienza critica, comincia molto, ma molto tempo prima.

Sul finire del 1800, a modificare radicalmente e per sempre l’assetto socio-economico dell’Occidente e’ la Rivoluzione Industriale, che determina la nascita di agglomerati urbani di case popolari, intorno alle fabbriche, alle prime ferrovie, e alle officine, dove le masse cominciano a vivere abbrutite da condizioni sempre più disagiate e da uno stile di vita ai limiti della sopravvivenza, formando quelle che oggi definiamo “periferie urbane”. Questi cambiamenti pongono le basi per lo sviluppo della societa’ di massa, modificando costumi, cultura, organizzazione politica, rapporti individuali, sociali e internazionali. L’ antropologo francese Gustave Le Bon analizza questo terremoto collettivo e, nel 1895, scrive una dei trattati di analisi sociale piu’ importanti ed influenti al mondo “Psicologia delle folle”, studiato e preso in esame da personaggi come Hitler, Roosevelt, Lenin e da Mussolini. Il testo, rappresenta l’analisi universalmente riconosciuta come piu’ autorevole ed esauriente dei comportamenti delle masse e dei meccanismi psicologici che le rendono prevedibili e, quindi, manipolabili. La crescita esponenziale della coscienza di massa all’indomani della rivoluzione industriale creo’ scompiglio tra le elites, i politici e gli intellettuali, preoccupati che la nuova societa’ potesse rappresentare un serio pericolo per i loro piani strategici, in seguito alle prime rivendicazioni per lo scarso salario, le troppe ore di lavoro e la assente tutela sanitaria. Le Bon definisce la massa una folla dedita all’azione piuttosto che al ragionamento, che rivendica diritti mettendo in discussione i privilegi e gli status dei potenti. La guida della societa’ occidentale, da parte delle aristocrazie, stava per essere minata da quella folla definita da Le Bon, incivile, capace solo di distruggere e generare caos, per la conquista dei diritti e dell’uguaglianza. Le Bon, prefigura il più ampio concetto di massa e si concentra sugli strumenti utili e indispensabili per la sua manipolazione, fornendo ai totalitarismi del XX secolo un’importante serbatoio di idee.

I SEGUACI DI LE BON

Furono molti i leader politici che apprezzarono le idee di Le Bon, ed in particolare i capi nazisti e fascisti tra cui Hitler e Mussolini, che dichiararono di aver letto piu’ volte il saggio del sociologo francese. Ma scopriremo, e per alcuni non sarà una sorpresa, che ancora oggi il vademecum (come lo definisco io), e’ un evergreen sulle librerie e scrivanie dei piu’ importanti esponenti politici. L’epoca di fine 1800 stava costituendo uno dei momenti di piu’ grande trasformazione del pensiero umano, dovuta alla creazione di condizioni sociali dettate dallo sviluppo industriale e dalla nascita della classe operaia. Le Bon aveva capito che da quel momento le elites e gli uomini di potere avrebbero dovuto fare i conti e rapportarsi con una nuova realta’ “La potenza delle folle”. Partendo dall’approccio delle patologie mentali, Le Bon utilizzo’ i concetti di contagio e suggestione per spiegare i meccanismi che portano la folla alla reazione emotiva e istintuale, sentimenti che, d’altro canto, rappresentano anche predisposizioni umane.

GLI STRALCI DEL TESTO

Dal punto di vista psicologico l’espressione folla assume un significato di agglomerato umano con caratteri nuovi rispetto a quelli di cui si compongono i singoli individui. La personalita’ singola e cosciente si annulla, proiettando i sentimenti e le idee verso una stessa direzione e forma pensiero”.

Ha origine l’anima collettiva, passeggera ma con caratteri precisi che costituiscono la folla psicologica, racchiusa in un solo essere e sottomessa all’unita’ mentale delle folle. Ma il leader politico potra’ avere il controllo assoluto se fa leva sull’approccio del contagio mentale, con la promozione di atteggiamenti, pensieri e orientamenti da ricollegare ai fenomeni di ordine ipnotico. Cosi facendo, all’interno della folla scatta un meccanismo che sacrifica i valori personali in favore del collettivo, per mancanza di coraggio non sentendosi protetto dalla massa. (Es: Io non vorrei, ma lo fanno tutti! Non posso andare contro gli altri! Poi rimarrei isolato! Lo faccio e basta!).

Tutto questo e’ da ricondurre a fenomeni di ordine ipnotico. Con il saggio di Le Bon del 1895, le generazioni future compresero come i governi e i potenti della terra avevano e avrebbero manipolato le masse a loro piacimento, facendo capitolare in uno stato ipnotico i piu deboli. Cosi, gli uomini sono in trappola, paralizzano il loro cervello, diventando schiavi di tutte le attivita’ indotte dall’ipnotizzatore. Essi,non sono piu’ se stessi, diventano automi, incapaci e impotenti.

Ecco altri stralci significativi e inquietanti, del saggio di Le Bon.

“ Gli uomini di Stato chiamati a difendere una causa politica qualunque, gli industriali che diffondono i loro prodotti con annunci, conoscono il valore dell’affermazione. Quest’ultima non acquista reale influenza se non a condizione di essere costantemente ripetuta e il piu possibile negli stessi termini. La cosa affermata riesce a stabilirsi nelle anime a tal punto da essere accettata come una verita’ dimostrata. La cosa ripetuta finisce per attecchire in quelle ragioni profonde dell’inconscio in cui si elaborano i motivi delle nostre azioni. Dopo qualche tempo, dimenticando chi sia stato l’autore dell’affermazione ripetuta, finiamo per credervi.

Quando un’affermazione viene ripetuta si forma una corrente di opinione e, il potente meccanismo del contagio, interviene intenso quanto quello dei microbi. Molte idee, infatti, si propagano per mezzo del contagio e non del ragionamento. Dinanzi al potere del contagio l’interesse personale viene distrutto.

“Nella folla il tono emotivo e’ accentuato dai suggerimenti dei leaders, dall’uso di simboli verbali e non solo, dai gesti eccitati dei membri della folla e da altre circostanze dell’occasione. Sulla base di queste caratteristiche emotive la folla e’ facilmente guidabile”.

Lenin  Stalin, Hitler e Mussolini lessero meticolosamente l’opera di Le Bon, e, l’uso di determinate tecniche di persuasione nella loro dittatura, e’ ispirato direttamente ai suoi studi. Mussolini fu fervido ammiratore dell’opera dello psicologo francese, e i discorsi pronunciati da certi dittatori, hanno costruito un’intima comunione con la folla, evocando immagi i seducenti.

“Il moderno dittatore deve saper cogliere i desideri e le aspirazioni segrete della folla e proporsi come incarnazione di colui che e’ capace di realizzarle, quando, in realta’, non sara’ vero. Cio’ che conta non e’ riuscire a realizzare, quanto far credere che sia possibile ( Es: col vaccino si risolve tutto). L’immaginazione popolare e’ sempre stata alla base della potenza degli uomini di Stato e dei trascinatori di folle”

Le Bon non compare spesso nelle piccole e grandi enciclopedie, ma sugli scaffali degli uomini potenti si. Se analizziamo i discorsi di molti illustri politici dal 1900 ad oggi, capiamo quanto siano influenzati dalle sue teorie psicologiche.

Per comprendere come si formano le generazioni, occorre sapere come e’ stato preparato il terreno. L’insegnamento dato ai ragazzi permette di prevedere quale sara’ il destino di quel Paese, e l’educazione delle generazioni di oggi giustifica le piu’ avvilenti previsioni. Studi portati avanti con un’avvilente e malfunzionante DAD, esami di maturita’ senza uno scritto, esami universitari on line, con generosi suggerimenti da parte di chi, nascosto dallo schermo, che inquadra solo l’esaminato, L’anima delle folle migliora o si altera con l’educazione. E’ dunque necessario vedere come l’ha forgiata l’imbonitore di turno, e come la massa degli indifferenti e dei neutrali possa diventare un immenso esercito di malcontenti, pronto a seguire tutte le suggestioni dei retori.

Le Bon, quando ha scritto il trattato, non immaginava le drammatiche conseguenze di due guerre mondiali, ne’ a fine 1900, l’inquietante risorgere (politico e religioso) dei popoli medio orientali.

Frasi celebri

“Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si da al popolo l’illusione di essere sovrano” ( Mussolini )

“ Al popolo non resta che un monosillabo per affermare ed obbedire. La sovranita’ gli viene lasciata solo quando e’ innocua o e’ reputata tale! Nei momenti di ordinaria amministrazione” ( Mussolini in “Preludio al Machiavelli” 1924).

“ Laddove manchi il consenso c’e’ la forza. Per tutti i provvedimenti anche i piu’ duri che il governo prendera’, i cittadini avranno dinanzi a loro questo dilemma: o accettare per alto spirito di patriottismo o subirli”  ( Mussolini in risposta al ministro delle finanze 1923 )

“La disciplina deve essere accettata. Quando non lo e’ deve essere imposta” ( Mussolini 1922 )

Un altro saggista di fine ottocento fu Edward Louis Bernays, nipote di Sigmud Freud.  E’ considerato uno dei padri delle pubbliche relazioni di cui, nei primi del 1900, teorizzo’ le principali regole fondanti, combinando le idee di Gustare Le Bon con le teorie psicologiche dello zio. Bernays fu uno dei primi a commercializzare i metodi per utilizzare il subconscio, al fine di manipolare l’opinione pubblica. Con Bernays nasce la figura dello Spin Doctor esperto in comunicazione, consulente di leaders politici, di partiti e personaggi pubblici, gestendone l’immagine. Le sue dottrine sono state seguite, ad esempio, da Barack Obama.

Cosi Bernays scrive nel suo saggio “ L’ingegneria del consenso” (1928)

“Se capisci i meccanismi e le logiche che regolano il compotamento di un gruppo, puoi controllare e irreggimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa”

Le idee di Bernays cambiarono il vecchio concetto che prevedeva:

Politica-Industria-Finanza = soddisfazione dei Bisogni 

                        In

Manipolazione dell’opinione pubblica – creazione di bisogni

Politica-Industria-Finanza = Controllo

Cinema e TV, in tutto questo processo evolutivo, hanno un potere enorme (esteso  anche a tutta l’industria dell’intrattenimento, di cui fanno parte i moderni videogiochi). Così come la musica, utilizzata in qualita’ di strumento psicologico di persuasione delle masse. In molti degli ultimi congressi PD, ad inizio e fine lavori, e’ stata utilizzata la canzone “People have the Power” di Patti Smith. Una scelta di ipocrito coraggio, se pensiamo che sono proprio i politicanti che oggi costituiscono i due rami del Parlamento, a non ascoltare i reali bisogni del popolo, applicando leggi che mettono gli uni contro gli altri. DIVIDE ET IMPERA annuncia un motto latino con cui si vuol evidenziare che la divisione, la rivalita’, e la discordia tra la gente, aiuta solo chi vuole comandare. Quando guardiamo la TV, non ci sintonizziamo per sapere cosa succede (perche’ in generale succedono sempre le stesse cose), ma per passare del tempo in compagnia del personaggio di turno. Fu Eisenstein, regista tra i piu’ influenti del cinema di inizio secolo scorso, a sostenere che gli elementi di una singola ripresa possono essere pensati in modo matematico, al fine di produrre uno shock emozionale. Ed e’ indubbio come il cinema e la TV, abbiano modificato profondamente la cultura, la percezione e la struttura mentale di miliardi di individui, trovandosi in una visione della realta’ che non e’ paragonabile a quella di chi ha vissuto senza essere esposto all’incantesimo delle immagini. E mentre un film dura 2/3 ore, la TV, continua per ore la sua opera di “rincoglionimento” (passatemi il termine) delle masse.

Ancora Bernays 

Quelli che manipolano il meccanismo nascosto della societa’ costituiscono un governo invisibile che e’ il vero potere che controlla”

“ Siamo governati, le nostre menti plasmate, i nostri gusti formati, le nostre idee quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Un vasto numero di esseri umani deve cooperare in questa maniera se si vuole vivere come societa’ che funziona in modo tranquillo. In quasi tutte le fasi della nostra vita, sia in ambito politico, negli affari o nella nostra condotta sociale e morale, siamo dominati da un piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili, che controllano la mente delle persone! Coloro che hanno in mano questo meccanismo, costituiscono il vero potere esecutivo del paese”.

Ben poche femministe sanno che il diritto al fumo fino ad allora (anni 20/30), riservato agli uomini, non fu esteso affatto in seguito ad una ribellione spontanea delle donne, ma fu il risultato di un’operazione mediatica su larga scala, concepita e orchestrata dalla American Tobacco Company” su progetto di Bernays.

Sempre in quegli anni, Bernays lavoro’ con l’AMA ( Associazione Medici Americani ) per produrre ricerche scientifiche che attestassero che il fumo non era nocivo. Inoltre, per favorire i produttori di pancetta, promosse una campagna pubblicitaria con la quale si invitava a consumare la colazione con uova e bacon, come piatto ottimale per iniziare la giornata. Che poi fosse vero o meno poco importava.

Tanti sono stati gli intellettuali che hanno analizzato la potenza della comunicazione. In Italia ne ricordiamo uno tra i primi: Pier Paolo Pasolini, critico lungimirante nei confronti della TV il cui potere ipnotico futuro, sulla scelta delle masse, si sarebbe rivelato con pedanteria sopratutto negli anni ‘80, dove la percezione del bene diffuso, del rampantismo arrivista dei ceti sociali emergenti, e della Moda, decreto’ il nuovo boom economico dopo quello degli anni ‘60, il cui simbolo fu lo slogan la Milano da bere della famosa campagna pubblicitaria per l’amaro Ramazzotti, ideata da Marco Mignani nel 1985.

Pasolini scrisse che, nessun centralismo politico era riuscito a fare cio’ che avrebbe saputo realizzare, negli anni a venire, la societa’ dei consumi. Sarebbe riuscita nel suo intento, rimodellando i modelli culturali, accelerando il processo grazie alla comunicazione televisiva. Attraverso la TV il Paese Italia, con la diffusione in contemporanea delle immagini, ha conosciuto culture, realta’, tradizioni territoriali (da Nord a Sud ), fino ad allora sconosciute. All’inizio fu un mezzo per certi aspetti positivo. Colmava anche quelle distanze infrastrutturali che, nel corso degli anni ’60, iniziarono ad essere ridotte, grazie all’opera più imponente costruita nel dopoguerra: l’ Autostrada del Sole. Ma la TV e’ stata molto più incisiva, iniziando quell’opera di omologazione che, nel corso dei decenni successivi, avrebbe distrutto ogni autenticita’ e concretezza, con benestare dei troppi, prostrati verso la moderna industrializzazione con totale e stupido compiacimento. Il sistema economico aveva compreso che non poteva piu’accontentarsi di un essere umano che consuma, pretendendo che non ci fosse altra ideologia che quella del consumo. La precedente ideologia voluta e imposta dal potere era stata la religione che, con il cattolicesimo, rappresentava l’unico fenomeno che omologava gli italiani. L’adeguarsi al modello TV consumistico, avrebbe impedito, negli anni a venire e fino ai giorni nostri, l’atrofizzazione del cervello e il conseguente appiattimento delle facolta’ mentali e morali, impedendo all’essere umano di evolversi.