CHARGE.ORG: NON USIAMO PIÙ QUESTA PIATTAFORMA. ECCO COSA NASCONDE
9 Dicembre 2021 – Redazione Co.Te.Li
Change.org è una società profit che gestisce la piattaforma on-line gratuita di campagne sociali, fondata nel 2007 negli Stati Uniti, nel Delaware, paradiso fiscale Usa, e con quartier generale a San Francisco, nel cuore di quella Silicon Valley.
Negli Stati Uniti è registrata come B Corporation. Dal 2008 partner di MySpace, e ha collaborato per il lancio di Action Day.
Le sue petizioni servono al falso bene, infatti si può dire che questa mastodontica rete serve per un mega guadagno.
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La mercificazione dello sfruttamento:
L’azienda (che ha sede a San Francisco, CA), fondata nel 2005, è stata varata il 7 febbraio 2007 dall’attuale direttore generale Ben Rattray (con una formazione in economia), in collaborazione con l’attuale direttore tecnico Mark Dimas e Adam Cheyer (co-fondatore di Siri direttore per la tecnologia ed il software del settore iPhone presso Apple).
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“Ma nessuno fa più soldi dalle petizioni online di Change.org. Chissà quanti fra quelli che visitano le petizioni di change.org sanno che, a dispetto della sua denominazione punto-org, questa organizzazione è un’attività a scopo di lucro per la generazione di lead. Basta gettare un’occhiata alla pagina dei suoi partner , e si capisce subito di cosa si occupano…. Change.org è deliberatamente ingannevole nell’utilizzare la denominazione change.org. Immagino che l’utente tipico di change.org non sappia che Change.org è un’azienda a scopo di lucro, e che utilizza le informazioni fornite per produrre utili.
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Change.org fa parte del Media Consortium di George Soros. Quello che vediamo sul sito fa pensare a una non profit ma si tratta di una B-corporation, un tipo di azienda che fa utili pur avendo un fine sociale. Con un’ambiguità di fondo: oltre all’uso del dominio “.org”, nato per distinguere le organizzazioni senza fini di lucro dalle aziende, Change.org invita gli utenti a fare delle “donazioni”. Queste non servono a sostenere le chi si appoggia alla piattaforma, ma sono pagamenti per un vero e proprio servizio. «Più donerai, più persone vedranno questa campagna», recita l’invito: i soldi servono a promuovere la petizione mostrandola «a potenziali firmatari». Una volta si volantinava, ora si paga da 3 a 50 euro con carta di credito.
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I soldi, quindi, non finiscono nelle tasche di chi ha promosso le petizioni, né tantomeno arrivano nella disponibilità dei soggetti al centro delle campagne. I soldi, insomma, non finiranno a sostegno della ma resteranno nella società che gestisce il sito.
PER APPROFONDIRE: ⤵️⤵️⤵️
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[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di medici ed aavvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale]
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