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‘SANITÀ’ Category

28 Maggio 2022 – Redazione

«L’Istituto superiore di sanità ha dichiarato che abbiamo già la disponibilità di oltre 5 milioni di dosi» di vaccino antivaiolo, «quindi siamo preparati eventualmente nel procedere qualora ve ne fosse la necessità». Lo ha affermato il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ospite di Rainews24, commentando l’acquisto da parte della Gran Bretagna di 20 milioni di dosi di vaccino, scrive AdnKronos.

Costa ha ribadito «con chiarezza» che «non siamo di fronte a un’emergenza». Il vaiolo delle scimmie non è paragonabile al Covid, non colpisce tutta la popolazione perché – ha affermato – chi è stato vaccinato contro il vaiolo, circa il 40% della popolazione, ha già una protezione indicativamente dell’85%. Quindi è uno scenario diverso che deve essere monitorato».

«Siamo di fronte ad una situazione che deve essere monitorata. Il nostro governo lo sta facendo – aggiunge – anche attraverso una task force istituita all’Istituto superiore di sanità e in collaborazione con le Regioni e con l’Unione europea – si legge ancora su AdnKronos -. Quindi stiamo affrontando insieme questa nuova fase».

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23 Maggio 2022 – Redazione – Fonte: Adnkronos

Il presidente degli Usa Joe Biden ha affermato che il vaiolo delle scimmie è “una cosa per cui tutto il mondo dovrebbe preoccuparsi“, anche se gli States hanno registrato finora solo un caso. Biden ha spiegato ai giornalisti in Corea del Sud che già sta parlando con i suoi consiglieri della possibile espansione della malattia e che tra gli aspetti che devono ancora essere chiariti c’è il grado di trasmissibilità del virus.

Vaccino contro il vaiolo

Stiamo lavorando per vedere quello che possiamo fare e che vaccino si può usare“, ha detto il presidente Usa prima di imbarcarsi sull’Air Force One per recarsi in Giappone, seconda tappa del suo tour in Asia. I Cdc di Atlanta indagano su diversi casi sospetti, anche se per ora ne è stato confermato uno solo nel Massachusetts, una persona che aveva viaggiato in Canada.

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22 Maggio 2022 – Redazione – Fonte: Il Giornale d’Italia

Il vaiolo delle scimmie ha una bassa mortalità ed è, tutto sommato, è poco contagioso. A dirlo sono gli esperti Donato Greco e Stefano Vella. Il primo ha rassicurato che questo virus è “meno grave della varicella”. Il secondo è sicuro nell’affermare che non ci sarà alcuna pandemia in quanto, appunto, il vaiolo delle scimmie non contagia come il Coronavirus.

“Nell’uomo il vaiolo delle scimmie è una malattia auto-estinguibile, cioè si risolve da sola in poche settimane ed è, come gravità, anche inferiore a una varicella”, ha affermato Donato Greco, già direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute. “Anzi – aggiunge all’Adnkronos Salute – quest’ultima comporta una estensione delle vescicole su tutto il corpo e dà febbre elevata, mentre il vaiolo delle scimmie è quasi sempre molto localizzato. Nei casi di cui parliamo in questi giorni a trasmissione sessuale, le pustole sono limitate alla zona dei genitali, senza febbre alta”.

“C’è un po’ di diffidenza a dichiararne la natura della trasmissione che, come riportato nel report del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecd), nella maggior parte dei casi è per via sessuale anale“, continua Greco. “Ed è inutile dire che non lo sia, non vedo perché non chiarirlo, perché se parlassimo di gonorrea quale sarebbe il problema? Ricordiamo la storia dell’Hiv, quando partì un allarme incontrollato”. E ancora: “Stiamo attenti alle discriminazioni, ma dal punto di vista scientifico bisogna parlare e spiegare chiaramente le cose per non generare inutili allarmismi”.

Nemmeno Stefano Vella, docente di Salute Globale all’università Cattolica di Roma, si è detto particolarmente preoccupato. “Non siamo di fronte a una nuova pandemia”, dice. “Il virus del vaiolo delle scimmie, è conosciuto, in Africa, da tempo. Non preoccupa particolarmente rispetto al rischio di propagazione perché per infettarsi i contatti devono essere molto stretti, come nei rapporti sessuali. Non ci sono gli stessi pericoli di una trasmissione aerea, che facilita la corsa del virus, come per Sars-Cov-2″.

“A dispetto del nome, come già è stato spiegato in questi giorni – aggiunge Vella – non parliamo di un’infezione pericolosa come quella causata dal vaiolo. La malattia è lieve e abbiamo, nel caso si rendesse necessario, anche alcuni antivirali utilizzabili, per quanto non specifici. E da quanto ne sappiamo fino ad oggi, chi si è vaccinato contro il vaiolo potrebbe essere protetto”.

Per Vella, in ogni caso, oggi più che mai è necessaria “l’attenzione all’equilibrio tra la salute umana, animale e ambientale. Ad esempio: se noi deforestiamo è chiaro che l’animale selvatico si avvicina alle aree abitate dall’uomo con più rischi. Non a caso, nell’approccio alla gestione della sanità, si parla di ‘One Health’, una salute sola (umana, animale, ambientale), e non è solo un concetto di moda, ma una necessità nel riorganizzare le politiche sanitarie e ambientali in un’ottica di consapevolezza e riduzione del rischio”.

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22 Maggio 2022 – Redazione

“Come ti creo uno stigma in sei piccole parole. Ci siamo già passati con HIV/AIDS che ha ucciso persone di ogni orientamento sessuale. Però non siamo più negli anni ‘80 e la lezione dovremmo averla imparata. Professor Bassetti, per favore, se possibile evitiamo. Grazie”.

Così Ivan Scalfarotto di Iv commentando via twitter le parole di Matteo Bassetti sui primi contagi da vaiolo delle scimmie in Italia da ‘cluster gay’.  (Adnkronos)

Cluster gay

Secondo le stime dell’infettivologo del San Martino di Genova “sono già segnalati decine di casi in Europa: 14 in Portogallo, 9 in UK e 7 in Spagna“. Al momento i casi registrati, “sono stati riscontrati tra uomini che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini, configurando una probabile trasmissione all’interno della comunità”.

L’Ecdc”, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, “ha attivato un sistema di allerta a livello europeo al quale partecipa l’Istituto superiore di sanità. Inoltre, l’Iss ha costituito una task force composta da esperti del settore e ha contattato le reti sentinella dei centri per le infezioni sessualmente trasmesseal fine di monitorare continuamente la situazione nazionale”. Lo sottolinea l’Istituto superiore di sanità in una nota.

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22 Maggio 2022 – Redazione – di Alessandro Rico ( La Verità)

Contagi, ospedalizzazioni e intensive sono più probabili tra chi ha tre dosi rispetto a chi ha completato il ciclo primario. I vantaggi della «terza dose» soltanto per gli over 60: eppure Roberto Speranza & C. insistono sulle iniezioni.

Ormai è un’evidenza granitica: sotto i 60 anni, chi ha la terza dose se la passa peggio di chi non ce l’ha. Lo dicono i numeri trasmessi dall’Istituto superiore di sanità: nel regno di Omicron, il bazooka del booster sta rapidamente perdendo la sua potenza di fuoco. Tutto ciò dovrebbe indurre esperti e ministero a ricalcolare il rapporto rischi/benefici dell’iniezione, soprattutto in vista dell’ulteriore campagna autunnale di richiami. E invece, al momento, il mantra delle punture a cadenza quadrimestrale, ringalluzzito dalla promessa di farmaci aggiornati, resta il pilastro della strategia italiana. Alla faccia delle decisioni scientifiche, basate sui dati, che invoca ogni volta Roberto Speranza.

Veniamo alle ultime, clamorose rilevazioni, che riguardano gli under 60. Dal report dell’Iss, aggiornato al 18 maggio, vanno tratte tre conclusioni che dovrebbero far drizzare le antenne a chiunque fosse davvero interessato a calibrare le politiche in base agli scenari.

1 Chi ha ricevuto la terza dose si infetta molto di più di chi si è vaccinato solo con due dosi da oltre quattro mesi. Tra 40 e 59 anni, addirittura, gli italiani con il booster si contagiano di più anche dei non vaccinati.

2 Chi ha ricevuto la terza dose finisce in ospedale di più di chi si è vaccinato con due dosi da meno di quattro mesi – e questo vale sia tra 12 e 39 anni, sia tra 40 e 59.

3 Chi ha ricevuto la terza dose finisce in terapia intensiva di più di chi si è vaccinato con due dosi, indipendentemente dal fatto che esse siano state somministrate da oltre o da meno di 120 giorni.

Sorvoliamo sul terzo punto: per fortuna, gli ingressi in rianimazione, tra il primo aprile e il primo maggio, sono stati talmente pochi che sarebbe inutile costruirci sopra una tendenza statistica. Concentriamoci, semmai, sui primi due elementi di riflessione.

Da 12 a 39 anni, l’incidenza dei casi di Covid, dal 15 aprile al 15 maggio, è stata di 2.912 infezioni ogni 100.000 persone tra i non vaccinati, 1.218 tra i vaccinati da oltre quattro mesi, 3.054,4 tra i vaccinati più recenti e 2.892,1 tra i vaccinati con la terza dose. Da 40 a 59 anni, l’incidenza è stata di 2.429,4 casi tra i non vaccinati, 1.493 tra i vaccinati da oltre 120 giorni, 2.712,9 tra i vaccinati da meno di 120 giorni e 2.683,6 tra chi si è sottoposto al richiamo. È un chiaro segnale che lo schermo offerto dal medicinale tarato sul virus di Wuhan, in presenza di Omicron e delle sue sottovarianti, si è enormemente indebolito. E che nemmeno la spintarella del terzo shot lo consolida in modo decisivo. I più attenti, allora, domanderanno: come mai, se lo scudo vaccinale è diventato una groviera, gli inoculati con due dosi da più tempo sembrano essere quelli più al sicuro? La protezione, a questo punto, non dovrebbe essere evaporata?

Una possibile interpretazione è che quanti, tra gli under 60, pur avendo porto il braccio da oltre 120 giorni, non sono ancora corsi all’hub per il richiamo, siano per la maggior parte individui che si sono infettati con Omicron dopo la doppia puntura. Costoro, dunque, beneficiano oggi dell’immunità naturale, peraltro maturata in rapporto al ceppo virale prevalente. E, a ipotetica parità di stile di vita – i limiti imposti dal green pass sono decaduti e nessuno è in lockdown volontario per paura d’infettarsi – resistono meglio agli attacchi del Sars-Cov-2.

Un discorso analogo – ed è un aspetto impressionante – vale per i conteggi dei ricoveri in area non critica. In questo caso, i non vaccinati si dimostrano senza dubbio più vulnerabili dei vaccinati a vario titolo. Tuttavia, gli under 60 che si sono lasciati inoculare oltre 120 giorni fa risultano meno a rischio sia dei vaccinati recenti, sia di quelli con il booster. Tra 12 e 39 anni, l’incidenza delle ospedalizzazioni, nei vaccinati meno recenti, è di 6,2 ogni 100.000 persone; in quelli più «freschi» è di 16,3; in quelli «tridosati» è di 10,1. Nella fascia anagrafica 40-59 anni, l’incidenza varia dai 10,4 ricoveri tra i vaccinati da più di quattro mesi, ai 15,7 tra i vaccinati da meno di quattro mesi, agli 11,8 tra i vaccinati con booster. Ancora una volta, chi si è vaccinato da poco, nel contesto Omicron, ha le armi spuntate. Soprattutto, la terza puntura non aggiunge nulla alle due eseguite prima di gennaio. Anzi, ha un impatto negativo.

A dirla tutta, già a febbraio La Veritàsottolineava come, dai documenti dell’Iss, risultasse che gli under 40 con tre dosi pativano più ospedalizzazioni dei vaccinati con due shot. L’Iss aveva spiegato il paradosso ricordando che, in quella classe d’età, ad aver ricevuto il booster erano stati i fragili. «Con il tempo», prometteva l’ente, «le stime di efficacia riferite a questa popolazione risentiranno meno di questo fattore di confondimento». Ebbene: la terza iniezione l’ha avuta anche chi scoppia di salute. Ed è successo il contrario di quel che prevedeva l’Iss. Non solo il «fattore di confondimento» non è scomparso, ma l’anomalia si è estesa alla categoria anagrafica immediatamente successiva, quella dei cittadini con età compresa tra 40 e 59 anni.

Anche a voler ignorare la questione degli effetti collaterali e il giallo sull’eccesso di morti under 40, ce ne sarebbe abbastanza per ammettere che qualcosa non sta funzionando. Per smetterla di rincorrere i più giovani e sani con la siringa, concentrandosi sugli over 60 – sui quali il richiamo, invece, fa il suo dovere.

Tanto, le inoculazioni delle terze dosi sono già di per sé al palo: da inizio mese non sono mai arrivate a 11.000 al giorno; venerdì si sono fermate a poco più di 5.000. Evidentemente, nascondere la polvere sotto al tappeto non basta: gli italiani, l’antifona, l’hanno capita da soli.

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20 Maggio 2022 – Redazione

PRO MEMORIA PER LE MENTI LABILI

Scrive la Dott.ssa Patrizia Montenegro PHD in Neurochirurgia presso la John Hopinks University:

<<Tra tutti i vaccini che ho visto in vita mia (difterite, tetano, pertosse, morbillo, rosolia, parotite, varicella, epatite, meningite e tubercolosi), non ho mai visto un vaccino che mi costringa a indossare una mascherina e mantenere la distanza sociale, anche quando sei completamente vaccinato…
Non avevo mai sentito parlare di un vaccino che diffonda il virus anche dopo la vaccinazione.
Non avevo mai sentito parlare di ricompense, sconti, incentivi per vaccinarsi.
Non ho mai visto discriminazioni per coloro che non l’hanno fatto. Se non sei stato vaccinato, nessuno ha cercato di farti sentire una persona cattiva.
Non ho mai visto un vaccino che minacci le relazioni tra familiari, colleghi e amici.
Non ho mai visto un vaccino usato per minacciare i mezzi di sussistenza, il lavoro o la scuola.
Non ho mai visto un vaccino che permettesse a un dodicenne di ignorare il consenso dei genitori.
Dopo tutti i vaccini che ho elencato sopra, non ho mai visto un vaccino come questo, che discrimina, divide e giudica la società così com’è. E mentre il tessuto sociale si stringe…
È un vaccino potente! Fa tutte queste cose tranne l’IMMUNIZZAZIONE.
Se abbiamo ancora bisogno di un’iniezione di richiamo dopo essere stati completamente vaccinati e dobbiamo ancora ottenere un test negativo dopo essere stati completamente vaccinati, e dobbiamo ancora indossare una maschera dopo essere stati completamente vaccinati e dobbiamo ancora essere ricoverati in ospedale dopo essere stati completamente vaccinati , probabilmente arriverà il momento di ammettere che siamo stati completamente ingannati>>.

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19 Maggio 2022 – Redazione – di Patrizia Floder Reitter – La Verità 

I dottori che hanno salvato migliaia di pazienti Covid affrontano le commissioni disciplinari. Quelli condannati per omicidio o corruzione risultano ancora iscritti all’albo. E se non sono in carcere, continuano a esercitare.

Ci sono medici che rischiano di essere sospesi solo perché hanno curato a domicilio pazienti Covid. Potrà accadere ad Andrea Stramezzi, che ne ha salvati 6.000 ma forse sarà radiato dalla Commissione disciplinare dell’Ordine dei medici di Milano, doveva capitare a Gerardo Torre, per averne curato 3.000 con farmaci da prontuario ma ignorati dal protocollo ministeriale, se la pressione mediatica non avesse influito sulla decisione finale dell’Ordine di Salerno.

Gli esempi non mancano, è forte quanto inspiegabile l’accanimento nei confronti di dottori che si sono rimboccati le maniche, non confidando solo su vaccino, paracetamolo e vigile attesa. E ci sono altri medici che rimangono iscritti, malgrado ne abbiamo combinate tante da far rivoltare nella tomba Ippocrate, sul cui giuramento promettono di impostare eticamente la loro professione.

Partiamo dal caso più emblematico. Pier Paolo Brega Massone, l’ex primario di chirurgia toracica della clinica Santa Rita di Milano arrestato nel 2008 e condannato all’ergastolo in primo grado per omicidio volontario. Provocò la morte di quattro pazienti anziani, pena riformulata nel 2018 nel processo d’appello bis e ridotta a 15 anni di reclusione. Il chirurgo aveva preso anche 15 anni e mezzo, diventati definitivi, per 55 casi di lesioni e truffe al Servizio sanitario nazionale.

Nel settembre scorso, la Corte d’assise d’appello aveva innalzato la pena a 21 anni e 4 mesi contestando, accanto all’omicidio preterintenzionale, l’aggravante dello scopo di lucro. Secondo l’accusa, nella «clinica degli orrori», come fu soprannominata, il medico pavese portò «sul tavolo operatorio» quattro anziani per interventi «inutili», effettuati al solo fine di «monetizzare» i rimborsi del sistema sanitario nazionale per la clinica convenzionata.

Ebbene, farete fatica a crederci ma Brega Massone, oggi cinquantottenne, risulta sempre iscritto all’albo dei medici di Pavia, con il numero 0000005986, come appare sul portale della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. È il sito ufficiale al quale possono rivolgersi i cittadini che vogliono verificare l’iscrizione di un professionista, per questo Fnomceo sottolinea che gli Ordini «sono tenuti al loro aggiornamento dei dati».

Dimenticanza dell’albo di Pavia, che dal 2014 (quando Brega Massone fu condannato all’ergastolo) non ha aggiornato la posizione del suo iscritto, la qual cosa sarebbe comunque gravissima, o il chirurgo, il primo condannato in Italia per aver ucciso non per errore, è sempre un medico per il suo albo professionale?

Non è l’unico caso. Il 21 dicembre scorso, la Corte d’appello del tribunale di Milano ha condannato a sei anni di reclusione Domenico Spellecchia, ex primario di ginecologia dell’ospedale di Chiavenna, in Valtellina, che nel giugno 2018 era stato assolto dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di 18 pazienti. Originario di Scampitella, provincia di Avellino, 62 anni tra poche settimane, dopo l’assoluzione era tornato a esercitare all’ospedale Moriggia Pelascini di Gravedona, nel Comasco.

Spellecchia, ritenuto colpevole di molteplici abusi per effetto della sentenza di primo grado ribaltata, a distanza di cinque mesi dalla pronuncia dei giudici d’appello risulta sempre iscritto all’Ordine professionale di Milano con numero 0000026668. Eppure accanto al nome di Barbara Balanzoni, medico anestesista laureata anche in legge, compare in tutta evidenza la scritta rossa «sospesa», dal 18 gennaio. Non per aver procurato danni a qualche suo assistito, o per aver intascato soldi sulla pelle di malati, semplicemente in quanto non vaccinata.

E che dire dei sei anni e sei mesi per corruzione inflitti nel gennaio 2021 a Norberto Confalonieri, ex responsabile di ortopedia e traumatologia all’ospedale Gaetano Pini di Milano? I giudici avevano accolto la tesi dei pm, secondo i quali il professionista «al centro di una ramificata e consolidata rete di relazioni corruttive», aveva stretto accordi con multinazionali per impiantare le loro protesi, in cambio di soldi, regali, ritorno di immagine.

Confalonieri fu invece prosciolto dall’accusa di presunte lesioni ai danni di pazienti, alla casa di cura San Camillo di Milano, dove il medico faceva interventi in regime privato e poi operandoli in regime di mutua. Di fatto, Confalonieri, classe 1952, condannato perché giudicato corrotto, lavora tra Milano, Seregno, Cantù, Lodi, Lecco e, come informa sul suo sito, oltre a effettuare interventi in cliniche private di Milano e Roma, li esegue anche in regime convenzionato. Infatti, è sempre iscritto all’albo dei medici di Monza con il numero 0000000717.

L’ortopedia del Pini deve essere una specialità che attira contenziosi, perché l’ex direttore dell’unità correttiva, Carmine Cucciniello, accusato nel 2018 di corruzione, patteggiò due anni con rito abbreviato, il primario Giorgio Maria Caloridue anni e dieci mesi. Il professor Calori, oggi direttore dell’unità funzionale di ortopedia e traumatologia della clinica San Gaudenzio di Novara, versò 300.000 euro al Pini per accedere al patteggiamento. Secondo l’accusa, avrebbe fatto acquistare kit operatori a un prezzo dieci volte superiore al reale. Sia Cucciniello, sia Calori sono regolarmente iscritti all’Ordine dei medici di Milano. «La commissione disciplinare segue il codice deontologico, ma dopo il rinvio a giudizio di un iscritto è obbligata ad aprire un procedimento, che può concludersi con tempi e pronunce differenti da quelli del giudice penale, tranne che nel caso di un’assoluzione», osserva Sandro Sanvenero, presidente dell’Ordine degli odontoiatri di La Spezia. «Di certo, deve garantire autonomia e indipendenza del medico e non può condannarlo perché ha agito secondo giudizio clinico, nel trattare pazienti», quindi anche affetti da Covid. «Lo stesso Consiglio di Stato ha sentenziato che i protocolli ministeriali sono delle mere indicazioni, il medico non è obbligato a seguirle».

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19 Maggio 2022 – Redazione

Ricercatore in campo farmaceutico, si era trasferito da alcuni anni in provincia di Vicenza per lavoro. Sposato, era padre di tre figli. Oggi, mercoledì, alle 14,30 la chiesa di Arceto ospiterà i funerali di Matteo Zini, ricercatore e analista in campo farmaceutico. Viveva da quattro anni in provincia di Vicenza, ad Altavilla Vicentina, e lavorava alla Fis (Fabbrica Italiana Sintetici).

 

Un tumore fulminante lo ha strappato all’affetto dei suoi cari. Sabato il decesso. Lascia la moglie Giulia Ganapini e i tre figli, i genitori Marta e Giuliano, il fratello Andrea e una famiglia numerosa ora unita nel dolore. Il Nobel Montagnier sosteneva che questi sieri sperimentali possono anche causare l’insorgenza di tumori maligni all’interno dell’organismo. Lo riporta ReggioOnline.com.

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18 Maggio 2022 – Redazione

Dall’inizio della campagna vaccinale imposta contro ogni evidenza di efficacia scientifica in Italia, i dati in merito alla percentuale di chi aveva ricevuto la prima dose, la seconda, o di chi aveva completato il ciclo è stato sempre un balletto di cifre.

Qualcuno riportava numeri, qualcun altro percentuali, chi faceva selezione in base alle fasce d’età, altri riportavano dati sparati a casaccio in tv dalla viro-star di turno, che presenziava il salotto televisivo del giorno: qualcuno ha azzardato cifre che ipotizzavano  il 90% della popolazione inoculata.

Tutto è sempre sembrato costruito ad arte per non farci mai capire quale fosse la realtà dei fatti , quanti, in effetti,  avessero subito il trattamento sanitario sperimentale anticovid.

Una cosa sembra chiara però: se fino a qualche mese fa non si sentiva parlare di altro, adesso con la situazione geopolitica in primo piano, vaccini e covid sembrano non interessare più di tanto gli italiani, preoccupati più dalle conseguenze economiche, e non solo, che dovranno affrontare a causa delle scelte esageratamente schierate del nostro governo rispetto alle sanzioni alla Federazione Russa.

Ma c’è chi pensa a tenere alto il livello di terrore sanitario – dopotutto ci hanno messo più di due anni a infonderlo così profondamente- tra la gente, lanciando l’allarme: 19 milioni di italiani  non hanno ancora completato il ciclo vaccinale o non hanno fatto neppure la prima dose.

Il report ufficiale del Governo mostra come gli italiani abbiano aderito, quasi in maniera unanime alla somministrazione della prima dose, e oltre il 90% sopra i 12 anni abbia completato il ciclo.

Nonostante questi numeri plebiscitari, il tasso di positività, oggi, è del 13,3%, con 44.489 casi e 148 morti.

Numeri non certo bassi, vista la percentuale di inoculati, che non avvalorano ne la tesi che vaccinarsi aiuti a contenere il contagio, ne che possa aiutare a salvarsi la vita: i dati infatti sono evidentemente avvicinabili, come più volte detto, a quelli pre vaccino, oppure a quelli dei Paesi in cui a campagna vaccinale non ha avuto la massiccia adesione che ha avuto in Italia.

Il numero che invece dovrebbe impressionare chi legge è quello di coloro che hanno rifiutato di piegarsi al ricatto sociale del green pass: ben 19 milioni di italiani hanno resistito, privandosi della libertà di circolare liberamente, di entrare in ospedali, vedendosi recapitare multe da centinaia di euro o perdendo il posto di lavoro.

A tutti questi “no vax” verrà sicuramente addossata la responsabilità della propagazione del virus, della nascita di una variante, la responsabilità di non volere un Paese sicuro: fa quasi comodo, se ci pensate, che questi 19 milioni di italiani esitano altrimenti chi sarebbe potuto essere il capro espiatorio di un cosi enorme , evidente mastodontico fallimento?

A fare da contrappeso ci sono quelli che sono disposti, pur di non rischiare di passare da no-vax, a farsi iniettare nel sangue qualsiasi cosa, continuano a indossare mascherine anche all’aperto, contro ogni logica, contro ogni evidenza:  un po forse per paura, un po per ingenuità, ma anche per non rischiare di perdere quello straccio di immagine sociale, o magari quei pochi vantaggi, che invece dovrebbero essere diritti, rimanendo sotto scacco di pochi “rappresentanti” di governo, non eletti da nessuno, a loro volta sotto scacco dei “very” Big che controllano davvero il sistema.

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17 Maggio 2022 – Redazione – di Giacomo Amadori – La Verità 

Walter Ricciardi tende a nascondere i primi passi a Magistero e Lettere, dove vinse il concorso da ordinario davanti al suo mentore. Il comunicatore Sergio Iavicoli(indagato e imbarcato alla Salute) ha avuto una cattedra finanziata grazie al dipartimento Inail da lui diretto.

Il ministro della Salute Roberto Speranza lo ha nominato summo cum gaudio lo scorso agosto direttore generale per la comunicazione e i rapporti europei e internazionali con uno stipendio da oltre 200.000 euro. Stiamo parlando del professor Sergio Iavicoli, prelevato sino al 2024 dal suo posto di direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail.

L’esperto chiamato a rappresentare davanti al mondo il nostro ministero è un personaggio molto interessante. Ad aprile abbiamo raccontato che è indagato dalla Procura di Roma per falso ideologico. Il motivo? Il team da lui creato presso l’Inail ha dato un supporto decisivo, con i suoi pareri trasmessi al Cts, alla validazione delle
mascherine acquistate dal Commissario straordinario Domenico Arcuri. Tra i dpi «promossi» anche i 700 milioni ritenuti non conformi dalle indagini di due Procure.

La notizia aveva oscurato un momento estremamente positivo della carriera del cinquantasettenne romano Iavicoli. Infatti lo scorso 11 febbraio il consiglio del Dipartimento di sanità pubblica e malattie infettive dell’Università La Sapienza, in seduta ristrettissima, riservata solo ai docenti ordinari, aveva ufficializzato la sua chiamata a professore di ruolo di prima fascia.

necessario?

Peccato che, da allora, il docente, nonostante il bando per il posto vinto fosse stato dichiarato «necessario e urgente», non abbia ancora iniziato le lezioni. Il 27 febbraio scorso Iavicoli ha fatto istanza di «differimento della presa di servizio» prevista per l’1 marzo e la rettrice Antonella Polimeni ha risposto che «la richiesta può ritenersi accolta», «in considerazione dei motivi addotti».

Ma il modo in cui è diventato professore uno dei più stretti collaboratori di Speranza merita un approfondimento.

Il concorso da lui appena superato, già nel 2019 aveva attirato interrogazioni parlamentari, articoli di giornale e l’attenzione di Corte dei conti e dei carabinieri del Nas. Per capire il perché dobbiamo riavvolgere il nastro.

Il 14 giugno 2018 l’Inail propone alla Sapienza di stipulare una convenzione per finanziare una cattedra in medicina del lavoro nell’ateneo capitolino. In tutti i documenti relativi all’accordo il Dimeila di Iavicoli viene indicato come «lo specifico dipartimento» attraverso cui sarebbe stata effettuata la collaborazione. L’obiettivo ufficiale è «integrare le rispettive competenze didattiche, di ricerca e assistenziali nel campo della medicina del lavoro».

Principale risultato della convenzione è lo stanziamento da parte dell’Inail di circa 2 milioni di euro per finanziare una cattedra di professore di prima fascia di Medicina del lavoro, disciplina per cui Iavicoli ha l’abilitazione.

Ma la cosa che alcuni operatori del settore ritengono sorprendente è che alla gara possa partecipare il direttore del Dimeila, il dipartimento attraverso il quale è stata propiziata la nascita dell’insegnamento. Anche perché il dipartimento ha avuto un ruolo determinante nel finanziare (con fondi Inail, quindi pubblici) le ricerche di molti dei docenti candidati a far parte della commissione esaminatrice e anche dei responsabili dell’ateneo e della facoltà.

Addirittura una prima commissione è stata sciolta «per i rapporti di natura personale ed economica intrattenuti con l’Inail».

Il professore Serafino Ricci, al tempo direttore della Scuola di specializzazione in medicina del lavoro della Sapienza, è il primo a fare ricorso al Tar non appena scopre che nel bando si legge che il vincitore sarebbe stato chiamato a svolgere attività di ricerca «nell’ambito dell’epidemiologia delle malattie professionali, della valutazione del rischio dei lavoratori, con riferimento all’utilizzo dei biomarcatori e alla valutazione dello stress lavoro-correlato». Un ambito considerato da Ricci del tutto residuale rispetto a quel tipo di concorsi, ma quasi sovrapponibile al cv di Iavicoli. Insomma ci trovavamo di fronte, a detta del ricorrente, come ha sintetizzato Il Fatto quotidiano tre anni fa, a «un bando su misura coi fondi del candidato prof».

Inoltre il concorso prevedeva anche che «il vincitore della procedura» potesse «eventualmente svolgere l’attività assistenziale presso l’Inail», con cui era stata attivata la convenzione.

La collaborazione finalizzata all’inaugurazione della nuova cattedra inizialmente era stata attribuita a un’iniziativa fantasma del Consiglio della scuola di specializzazione di medicina del lavoro. Ma successivamente è passata sotto l’egida di un altro dipartimento, quello di Sanità pubblica e malattie infettive (Spmi) che sino a quel momento non si era mai occupato dei concorsi del settore della medicina del lavoro.

Questo dipartimento era diretto da Paolo Villari, allievo di Antonio Boccia, capostipite della scuola napoletana di igiene che ha prodotto una nidiata di professori che in Italia rappresentano un punto di riferimento in questa disciplina. Tra di loro figura anche un altro favorito di Speranza, cioè Gualtiero Walter Ricciardi, sessantatreenne napoletano, nominato nel 2020 consigliere del ministro per l’emergenza Covid-19. E anche la sua carriera universitaria merita un focus.

vita da gualtiero

Infatti se l’assegnazione della cattedra al «comunicatore» di Speranza è molto discussa, Ricciardi ha avuto un cursus honorum accademico che ricorda quello di Giuseppe Conte, promosso ordinario da una commissione presieduta dal suo mentore, il giurista Guido Alpa. Stiamo parlando dei tempi in cui mister Lockdown era combattuto tra la carriera universitaria e quella di attore.

La sua scalata alla cattedra non inizia in una facoltà di Medicina, ma a Magistero e non a Roma, ma nel piccolo Ateneo di Cassino. Un’informazione che non troviamo nel suo curriculum sul sito dell’Istituto superiore di sanità. Nel 1990, vince il concorso per un posto di ricercatore di Igiene. Nel 1992 diventa professore associato, sempre a Magistero, che nel tre anni dopo si trasforma nella Facoltà di lettere e filosofia.

La svolta arriva nel novembre del 1999 quando, quarantenne, vince il concorso per un posto di professore ordinario di Igiene, sempre a Lettere. Entra in ruolo a dicembre.

Un bel regalo di Natale per un medico che in pochi anni ha fatto una carriera folgorante tra professori e studenti di materie umanistiche.

Certo, secondo le nostre fonti, per un ricercatore e/o professore (medico) di Igiene insegnare in una Facoltà di Magistero e/o di Lettere e filosofia non era esattamente il massimo del prestigio accademico. Ma questo sarebbe il meno. Conviene concentrarsi su come sia stato gestito il concorso da professore ordinario.

Membro interno e presidente della commissione dell’Università di Cassino viene nominato uno dei maestri di Ricciardi, il già citato Boccia, all’epoca professore presso l’Università La Sapienza. Il luminare, pur avendo cofirmato diversi lavori scientifici con il candidato Ricciardi, peraltro presentati per la selezione, non ritenne di doversi astenere dalla valutazione. Nonostante, in parte, fosse un giudizio sulle sue stesse pubblicazioni. Ricciardi aveva presentato anche altri lavori firmati insieme con altri due membri della commissione: Umberto Del Prete e Francesco Saverio Schioppa.

Vinto il concorso, l’1 novembre 2002 viene chiamato (con il ruolo di ordinario conquistato a Cassino) dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dove diventa direttore dell’Istituto di igiene della facoltà di Medicina e chirurgia.

cambio di nome

I suoi biografi (non autorizzati) ritengono che sia da quel momento che il docente avrebbe iniziato a farsi chiamare esclusivamente Walter (come l’allora sindaco di Roma, Veltroni) e non più Gualtiero.
Qualcuno fa notare che nell’istituto guidato da Ricciardi ha vinto il concorso da ricercatore di Igiene Giuseppe La Torre con il quale Walter-Gualtiero aveva fatto e avrebbe continuato a effettuare lavori scientifici. La Torre, anche allievo di Villari, è stato recentemente promosso ordinario di medicina del lavoro al fianco di Iavicolinel dipartimento di Igiene della Sapienza.

Nel 2017 Ricciardi, ormai presidente dell’Istituto superiore di sanità, ha fatto finanziare dalla multinazionale Merck Sharp & Dohme (un caso che ricorda un po’ quello dell’Inail) un posto di professore ordinario di Igiene nel suo Istituto, cattedra conquistata da Teresa Boccia, figlia di Antonio. Cioè il presidente della commissione che aveva promosso Walter-Gualtiero a Cassino.

Nessuna dubita dei titoli e dei meriti dei vincitori, ma questa storia insegna che gli allievi della scuola del professor Bocciamarciano come un sol uomo.

E che per molti di loro il ministero è un traguardo non troppo ambizioso.

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