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22 Marzo 2023 – Redazione – Articolo a cura di Imogen Foulkes

 

La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 è nata dal desiderio di garantire che gli orrori della Seconda guerra mondiale non si ripetessero. Nell’anno del 75° anniversario del documento, SWI swissinfo.ch analizza le sue origini e la sua validità nel contesto attuale.

La Seconda guerra mondiale è stata la più letale della storia. Morirono circa 70 milioni di persone, tra cui 50 milioni di civili. La Germania nazista sterminò circa sei milioni di ebrei ed ebree – due terzi della popolazione ebraica europea – che furono sistematicamente perseguitati, depredati delle loro proprietà e deportati con la forza, insieme ad altre minoranze considerate indesiderabili, per morire nei campi di concentramento. Le popolazioni civili sono state bombardate. I Paesi sono stati invasi e i loro cittadini e cittadine sono stati costretti al lavoro forzato. Ci furono stupri di massa, uccisioni e distruzioni.

Lottando per emergere da tale disumanità, e con le Nazioni Unite che subentravano alla screditata Società delle Nazioni che non era riuscita a fermare la guerra, i leader mondiali dissero: “Mai più”. Decisero di completare la Carta delle Nazioni Unite con una serie di principi che garantissero i diritti di ogni individuo ovunque nel mondo.

COME NACQUE LA DICHIARAZIONE?

La questione fu affrontata nella prima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1946 e affidata alla Commissione per i diritti umani, predecessore del Consiglio per i diritti umani con sede a Ginevra.

La Commissione per i diritti umani si riunì per la prima volta nel gennaio 1947 a New York e istituì un comitato per la redazione della Dichiarazione, presieduto da Eleanor Roosevelt, vedova del presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt. Tutti i membri del comitato svolsero ruoli chiave, ma Eleanor Roosevelt fu riconosciuta come la forza trainante per l’adozione della Dichiarazione. La descrisse come una “Magna Carta” per i diritti umani.

Anche altre donne hanno avuto un ruolo. Ad esempio, all’indiana Hansa Mehta, membro della sottocommissione per lo statuto delle donne, si attribuisce il merito di aver fatto cambiare le prime parole della Dichiarazione da “tutti gli uomini nascono liberi e uguali” a “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali”.

La bozza finale fu presentata alla Commissione per i diritti umani, riunita a Ginevra. Il documento fu inviato a tutti i 58 Stati membri dell’ONU dell’epoca per eventuali commenti. Il 10 dicembre 1948, durante una sessione a Parigi, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei diritti umani.

Un “testo miracoloso”

La Dichiarazione afferma che “tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti”. Aggiunge che devono agire gli uni verso gli altri in uno spirito di fratellanza e che a ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella Dichiarazione “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. La Dichiarazione sancisce che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” e che “nessun individuo può essere tenuto in stato di schiavitù”. La Dichiarazione considera inoltre la libertà di movimento, di parola e di associazione un diritto umano.”

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, l’austriaco Volker Türk, l’ha definita “un testo molto completo e miracoloso”. Per la giurista sudafricana Navanethem Pillay, Alto Commissario ONU dal 2008 al 2014, la Dichiarazione è una fonte di ispirazione. “Immaginate cosa ha significato per me e per tutti e tutte noi che eravamo sotto l’apartheid e conoscevamo solo le leggi razziste”, ha dichiarato in un’intervista a SWI swissinfo.ch.

Phil Lynch, direttore della ONG International Service for Human Rights (ISHRLink esterno), con sede a Ginevra, afferma che la Dichiarazione “ha avuto un impatto trasformativo sulle persone e sulle comunità di tutto il mondo, informando e ispirando lo sviluppo di leggi e politiche nazionali, sostenendo le richieste dei movimenti sociali e degli attori della società civile, fornendo un importante strumento per chi difende i diritti umani e sancendo valori universali che uniscono l’umanità e stabiliscono le condizioni affinché tutte le persone possano vivere con dignità”.

Come ha dato vita a trattati internazionali

La Dichiarazione è considerata la base del Diritto internazionale dei diritti umani. I suoi principi sono stati precisati in una serie di trattati internazionali riguardanti, ad esempio, l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione (1965), i diritti civili e politici (1966), i diritti economici, sociali e culturali (1966), l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1979), la lotta contro la tortura (1984) e i diritti dell’infanzia (1989).

Navanethem Pillay considera la Dichiarazione come “la nostra legge fondamentale”, che stabilisce i principi fondamentali da cui derivano queste convenzioni. Alcuni Paesi, come il Sudafrica di Mandela, ne hanno incorporato i principi nella loro Costituzione nazionale.

TUTTAVIA , RESTA IL PROBLEMA DI CONVINCERE I GOVERNI A RISPETTARLI. IN TROPPI CASI UNA MERA ILLUSIONE!!!!!!

“Stiamo perdendo l’essenza di ciò che la Dichiarazione universale dei diritti umani era e doveva essere in risposta agli eventi catastrofici della Seconda guerra mondiale”, ha dichiarato Türk a SWI swissinfo.ch in una recente intervista esclusiva. “In tante situazioni nel mondo c’è di nuovo questo disprezzo per le altre persone, il disprezzo per l’essere umano, il disprezzo per la dignità umana”.

Chi vigila?

Nel giugno 1993, le Nazioni Unite organizzarono la Conferenza mondiale sui diritti umani a Vienna, in Austria. Il risultato principale furono la Dichiarazione e il Programma d’azione di Vienna, volti a rafforzare il lavoro sui diritti umani in tutto il mondo. La Dichiarazione di Vienna chiedeva anche di rafforzare la capacità di monitoraggio dell’ONU, istituendo tra le varie cose la carica di Alto Commissario per i diritti umani. Questa posizione è stata istituita ufficialmente nel dicembre 1993.

Oggi l’ONU dispone di numerosi modi per monitorare la situazione e cercare di far sì che ogni Stato rispetti i diritti umani. Gli “Organi dei trattati” controllano il modo in cui i Governi applicano le convenzioni sui diritti umani, mentre i relatori e le relatrici speciali, così come le missioni d’inchiesta composte da esperti ed esperte indipendenti, esaminano questioni specifiche sui diritti umani o situazioni nei Paesi.

Ad esempio, il Comitato per i diritti dell’infanzia ha recentemente esaminato l’attuazione del trattato omonimo da parte di sette Paesi, esprimendo serie preoccupazioni sulle punizioni corporali in Azerbaigian e sulla violenza sessuale contro le ragazze in Bolivia. I Paesi sono chiamati a riferire su come hanno seguito le raccomandazioni delle Nazioni Unite.

Un altro esempio è quello dei relatori e relatrici speciali che recentemente hanno esortato il presidente dello Zimbabwe a respingere un disegno di legge che, secondo loro, limiterebbe fortemente lo spazio civico e il diritto alla libertà di associazione.

Questi organismi ed esperti/e riferiscono al Consiglio per i diritti umani, che si riunisce almeno tre volte l’anno a Ginevra.

La Dichiarazione necessita di un aggiornamento?

“Direi che c’è bisogno di aggiornarla, per enunciare altri diritti che non sono stati sanciti come avrebbero dovuto: i diritti delle popolazioni indigene, i diritti delle donne, i diritti dei bambini”, afferma Navanethem Pillay. “Per il resto, ho la massima fiducia nella Dichiarazione come standard. Non si possono contestare questi principi”.

Phil Lynch sostiene dal canto suo che più che di un aggiornamento, la Dichiarazione avrebbe bisogno di essere attuata, in modo che gli Stati e gli attori non statali che violano i diritti umani siano chiamati a risponderne. Ciò richiede leggi e Costituzioni nazionali che sanciscano i diritti, tribunali e corti indipendenti e “una società civile vivace e indipendente e persone che difendono i diritti umani”.

Secondo l’attuale Alto Commissario dell’ONU Volker Türk, (A PAROLE SCRIVIAMO NOI) la Dichiarazione non deve essere vista “come una reliquia”, ma come un insieme di principi fondamentali che forniscono risposte ai problemi attuali e futuri.

Durante una conferenza stampa tenutasi in dicembre, alla domanda se avrebbe cambiato qualcosa nella Dichiarazione redatta 75 anni fa, Türk ha risposto che avrebbe piuttosto chiesto che il documento venisse inteso alla luce delle preoccupazioni attuali. “Vorrei dire a tutti i leader di oggi: leggete la Dichiarazione universale dei diritti umani, usatela e consideratela come un obbligo ad agire”.

VORREMMO DIRE ALL’ONU, INVECE, CHE DOVREBBE VIGILARE E FAR METTERE IN ATTO TALI DIRITTI, E SMETTERE DI PONTIFICARE AL VENTO. VORREMMO RICORDARE ALL’ONU CHE E’ NATA PER AGIRE CONCRETAMENTE LADDOVE NECESSARIO!

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09 Marzo 2023 – Redazione – Fonte: Sardinia Post

Continua il processo sui Fondi della Santa Sede.  E’ notizia di questi giorni che il fratello del cardinale Angelo Becciu, Antonino, a guida della Cooperativa Spes di Ozieri, e il sacerdote don Mario Curzu, direttore della locale Caritas, che avrebbero dovuto testimoniare nel processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, non si sono presentati in aula opponendo, tramite l’avvocato Ivano Iai, l’assenza di garanzie in Vaticano per chi è indagato in altro procedimento, come è per loro presso la Procura di Sassari. Il Tribunale, presieduto da Giuseppe Pignatone, ha però ritenuto “infondata e irricevibile” la comunicazione inviata dal legale, ritenendo esistenti anche in Vaticano tali garanzie, e “illegittima” l’assenza dei due testimoni all’udienza odierna, che ha quindi riconvocato per l’udienza del 31 marzo prossimo.

Pignatone avrebbe dato lettura di un’ordinanza sul rifiuto dei due di rendere testimonianza, definendo la motivazione opposta dal legale “destituita di valore giuridico” e “irricevibile. Il Tribunale, oltretutto, “intende mantenere l’efficacia dell’accertamento giudiziale” ascoltando in aula i due testimoni, chiamati a riferire sui soldi inviati alla Coop Spes dalla Segreteria di Stato e dalla Cei, con l’asserito interessamento del cardinale Becciu.

Secondo l’avvocato Iai, gli indagati di fatti teoricamente connessi, con la loro testimonianza, “finirebbero per essere esposti a una elusione delle garanzie” previste dall’ordinamento italiano ma non da quello vaticano, e “ogni eventuale dichiarazione sarebbe utilizzata dall’autorità giudiziaria”. Per Pignatone, però, Antonino Becciu e don Curzu “sono solo testimoni, e tali restano, non riconoscendo loro altre facoltà se non quelle previste per i testimoni”.

Inoltre, “anche il Vaticano privilegia l’autotutela del testimone”, che “non è obbligato a rispondere su circostanze che possano incriminarlo”, o comunque peggiorare la sua situazione”.

“Le garanzie di cui si lamenta l’assenza sono ben presenti nell’ordinamento vaticano”, ha ribadito il presidente Pignatone, che fin dall’inizio di questo giudizio conferma il valore e l’esistenza del “giusto processo” anche nelle aule d’Oltretevere.

Parlando di “implausibilità degli argomenti”, il presidente del Tribunale vaticano ha anche ipotizzato, nell’ordinanza, il loro uso come un tentativo di sottrarsi al semplice obbligo di deporre. La 49/a udienza, in cui sarebbe stato ascoltato l’unico testimone presente, Felice Liberatore, cugino dell’imputato Fabrizio Tirabassi, sulle circostanze della perquisizione della Guardia Di Finanza del 5 e 6 novembre 2020 nei locali di Celano, di proprietà del padre di Tirabassi, in cui sono state trovate quantità di monete da collezione e anche somme in contanti, è durata in tutto 40 minuti.

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