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27 Maggio 2023 – Redazione

 

Fallisce dopo 102 anni la storica azienda dolciaria Paluani. Di proprietà della famiglia Campedelli era famosa per la produzione di pandori, panettoni e colombe pasquali.

La storica azienda dolciaria veronese Paluani fallisce. Fondata nel 1921, la società la cui sede storica è a Dossobuono, ha dichiarato fallimento. Così, dopo la squadra di calcio del Chievo, la famiglia Campedelli si ritrova a dichiarare a dire addio un altro pezzo della propria storia imprenditoriale.

Il tribunale di Verona ha dichiarato il fallimento della Paluani Spa, la storica azienda dolciaria di Dossobuono di proprietà della famiglia Campedelli. Fondata nel 1921, per 100 anni ha prodotto pandori, panettoni e colombe ed è stata anche sponsor del Chievo Verona, società calcistica anch’essa fallita, sempre di proprietà della famiglia CampedelliPaluani aveva un debito che si aggirava intorno agli 82 milioni di euro.

Attività produttive cedute alla Sperlari  Come riportato da l’Arena, il fallimento della Paluani arriva dopo che il grosso delle attività produttive – marchio e stabilimento – era stato ceduto un anno fa alla Sperlari, che fa capo al gruppo dolciario tedesco Katjes International. Quest’ultimo aveva partecipato a un’asta della sezione fallimentare e nel luglio 2022 era riuscito a entrare in possesso delle attività produttive in cambio di un assegno da 7,6 milioni di euro, giusto in tempo per organizzare la produzione in vista della campagna natalizia.

La dichiarazione di fallimento  L’azienda dolciaria a quel punto ha preso due strade: da una parte la Paluani 1921 acquisita da Sperlari è andata avanti a produrre, mentre la Paluani Spa, detentrice degli immobili (in parte venduti), ha imboccato la via della procedura di concordato. Opzione che però non ha funzionato: la sentenza di fallimento con revoca della procedura di concordato è stata motivata contestando all’azienda una serie di criticità fra le quali le scarse possibilità di riuscire a soddisfare i creditori. A fronte di un ammontare complessivo di quasi 82 milioni di euro richiesti, la somma che la Spa rendeva disponibile era inferiore a un milione. Con la dichiarazione di fallimento decisa dal tribunale sono stati nominati nuovi curatori per gestire la situazione dell’azienda.

FONTE: TGCOM 24

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25 Maggio 2023 – Redazione

Secondo la Corte dei Conti d’Oltralpe, in un rapporto pubblicato lunedì 22 maggio, il governo francese dovrebbe “definire e rendere pubblica una strategia per ridurre” il numero di vacche allevate in Francia al fine di ridurre le emissioni di gas serra. Insomma se Macron vuole ridurre il CO2 deve sterminare un po’ di mucche.

Il rapporto viene pubblicato nello stesso giorno in cui il Primo Ministro Elisabeth Borne presenta un piano d’azione governativo che valuta la riduzione dei gas serra per i principali settori dell’economia e quantifica lo sforzo per l’agricoltura, con priorità alla riduzione dell’impatto degli allevamenti e dei fertilizzanti azotati.

La Francia, il più grande produttore europeo di carne bovina e il secondo produttore di latte dopo la Germania, ha circa 17 milioni di capi di bestiame. L’allevamento di bovini rappresenta l’11,8% delle emissioni del Paese.

Il bilancio dell’allevamento bovino per il clima è sfavorevole“, scrive la Corte dei Conti in una relazione sul sostegno pubblico agli allevatori.

La Corte sottolinea che il sequestro di carbonio da parte delle praterie dove pascolano gli animali è “ben lungi dal compensare le emissioni” dell’allevamento. Sul bilancio dell’allevamento peserebbero, secondo loro, soprattutto le emissioni di metano: la produzione di questo gas, che ha un effetto molto riscaldante ed è prodotto dalla digestione dei ruminanti e dei loro escrementi, rappresenterebbe, il 45% delle emissioni agricole francesi!!!!!!!

Se la Francia vuole rispettare i suoi impegni di riduzione delle emissioni di metano (…), dovrà necessariamente ridurre in modo significativo il suo patrimonio zootecnico”, afferma l’istituzione, che chiede al Ministero dell’Agricoltura di “definire e rendere pubblica” una strategia in questo settore.

Non più di 500 g a settimana nel piatto

La Corte osserva che il ministero le ha comunicato “le sue ipotesi sull’evoluzione del patrimonio bovino”, che potrebbe scendere a circa 15 milioni di capi nel 2035 e a 13,5 milioni nel 2050. La riduzione degli allevamenti è iniziata da tempo (-10% in sei anni). Ma “questa riduzione rimane incontrollata e non è realmente gestita dallo Stato, a scapito degli agricoltori“, osserva la Corte. Siamo in Francia, non basta il mercato sfavorevole a distruggere un settore, è necessario che intervenga lo stato.

Per l’istituzione, il calo del bestiame non inciderebbe sulla “sovranità” della Francia in termini di carne rossa, a condizione che i consumatori seguano le raccomandazioni delle autorità sanitarie di non consumare più di 500 grammi a settimana (soglia attualmente superata dal 28% degli adulti): infatti normalmente questa carne verrebbe semplicemente acquistata da altri paesi dove questi obiettivi non vengono seguiti in modo stretto, come l’Argentina o il Brasile.

Allo stesso tempo, raccomanda al Ministero di “sostenere meglio gli allevatori più in difficoltà” affinché possano “riorientarsi verso altri sistemi di produzione o cambiare il loro orientamento professionale”. Cioè cambiare mestiere. Magari gli agricoltori potrebbero entrare in politica.

Più in generale, ritiene che gli attuali regimi di aiuto agli allevatori siano “molto costosi” (4,3 miliardi di euro nel 2019). Certo Macron potrebbe tagliare questi aiuti, scatenando altri sommovimenti sociali a quelli già in atto per la riforma delle pensioni. Un modo per buttare un po’ di benzina sul fuoco.

 

Fonte: Scenari economici (Giuseppina Perlasca)

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03 Maggio 2023 – Redazione

APEEL è una startup californiana che ha brevettato una pellicola invisibile che raddoppia la shelf life della frutta, in alcuni casi perfino la triplica. Edilpeel – così si chiama la pellicola messa a punto dall’azienda fondata nel 2012 Santa Barbara con il sostegno della Bill & Melinda Gates Foundation – si sta diffondendo come soluzione anti spreco nel retail, negli Usa e anche in Europa. In Olanda infatti, a Maasdijk, ha sede la divisione europea di Apeel: si trova all’interno della Nature’s Pride, colosso dell’import ed export di ortofrutta del Vecchio Continente.

A Maasdijk, in Olanda, in posizione strategica tra l’aeroporto di Amsterdam e il porto di Rotterdam, ha sede la Nature’s Pride, uno dei più grandi importatori di frutta e verdura del Vecchio Continente, che tratta 230 prodotti da oltre 58 Paesi. All’interno dello stabilimento è ospitata la sede europea di Apeel Science, startup californiana che ha brevettato una soluzione innovativa per aumentare la shelf life dei prodotti ortofrutticoli con importanti benefici in termini di riduzione dello spreco. Il brevetto è partito dall’avocado, per estendersi ad altre tipologie di frutta come mango, anguria, agrumi, mele e anche ad ortaggi come cetrioli e asparagi.

La tecnologia si basa sull’utilizzo di un composto trasparente 100% naturale, fatto di lipidi organici derivati da scarti della lavorazione vegetale, che, come una cera, va a ricoprire i frutti e li protegge dagli agenti esterni responsabili del loro processo di deperimento. In pratica blocca l’umidità all’interno del frutto e repelle l’ossigeno al suo esterno, funzionando di fatto come una seconda pelle, o meglio come una seconda buccia. La formula brevettata da Apeel è naturalmente top secret, si sa che questa cera naturale è estratta dalle bucce, dai semi e dalla polpa di scarti ortofrutticoli. Con un apposito macchinario il composto rivoluzionario viene spalmato sui frutti, primi fra tutti l’avocado, con cui è partita la sperimentazione: il risultato è che la vita di scaffale si allunga di molti giorni, arriva a raddoppiare, perfino triplicare.

Sul web c’è anche un Video realizzato dal giornalista Riccardo Staglianò all’interno dell’azienda olandese, in cui vengono mostrati alcuni dettagli del trattamento degli avocado con la pellicola naturale di Apeel Science: piccoli scorci, perché il procedimento innovativo resta un segreto. Si vede il nastro trasportatore con gli avocado che passano in una serie di rulli a torciglioni di setole, irrorate del composto di Apeel, che viene così spalmato in modo uniforme sul frutto.

Il segreto per avere un avocado più longevo è di raccoglierlo quando il suo indice di materia secca è di 23, spiega Hirich Khalaf di Nature’s Pride a Repubblica. “Dopo lunghi studi abbiamo scoperto che è il compromesso ottimale tra durata e sapore”, rivela. A quel punto gli avocado, in container frigo, iniziano il loro viaggio: “Una ventina di giorni in mare. Due di deposito appena arrivati qui. E cinque per completare la maturazione”. Nell’azienda olandese ci sono infatti 50 “ripening room”, dove tramite ventilazione la temperatura viene portata gradualmente da 5 a 20 gradi. Gli avocado, che quando arrivano a Maasdijk sono ancora duri come sassi, dopo essere stati trattati con la pellicola di Apeel vengono messi per cinque giorni nelle celle di maturazione, quindi sono pronti per essere confezionati e distribuiti nei punti vendita della Gdo.

In commercio dal 2017, Edilpeel – così si chiama in termini commerciali la pellicola di Apeel Science – viene oggi utilizzata a livello globale come soluzione per prolungare la shelf life da agricoltori, grandi compagnie e distributori ortofrutticoli negli Stati Uniti e anche in Europa: i frutti ricoperti dalla pellicola “magica” che allunga la vita di scaffale e riduce gli sprechi, riconoscibili dal bollino “Eat me” con il marchio Apeel, si trovano in alcune grandi catene come Kroger negli Usa (leggi qui) o Edeka in Europa (Germania).

RICORDIAMO ANCORA CHE, forte di questi risultati, la startup californiana, fondata nel 2012 da James Rogers con il sostegno della Bill & Melinda Gates Foundation, continua a crescere. Dopo i due round d’investimento da 250 + 30 milioni chiusi in piena pandemia, Apeel Science la scorsa estate ha chiuso un series E round da 250 milioni che ha portato complessivamente il valore aziendale a oltre due miliardi di dollari, come riporta la Cnbc. E a settembre la società ha annunciato una partnership con Walmart per introdurre in oltre 100 punti vendita del gruppo negli Usa i cetrioli anti spreco trattati con Edilpeel.

FONTE: Fruitbook Magazine

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01 Maggio 2023 – Redazione

 

Per allungare la shelf life dei prodotti l’azienda californiana fa sapere che starebbe usando una soluzione naturale e brevettata, ma avendo saputo chi ha brevettato e commercializzato il metodo, non crediamo affatto al beneficio…anzi!!! I dubbi ci assalgono!!! Il metodo, messo a punto dalla Fondazione Bill & Melinda Gates si chiama Apeel ha creato una pellicola per la riduzione degli sprechi!!!! Proprio filantropi!!!!! 😱😱😱😱😱

L’idea di «Avocado Apeel», una pellicola in grado di proteggere gli avocado dalla normale degradazione dovuta al tempo, è piaciuta così tanto ai due coniugi di discussa benevolenza, che l’hanno finanziata con 40 milioni di dollari. ATTENZIONE, ATTENZIONE , ATTENZIONE!!!! Non è la prima pellicola invisibile pensata per allungare la vita alla frutta, ma questa volta ha superato la fase di sperimentazione, venendo lanciata nei primi supermercati.

Arriva la pellicola salva avocado
L’effetto è perfettamente visibile nel video qui in basso: i tempi di conservazione del frutto si allungano di molto, fino ad arrivare a 20 giorni di «sopravvivenza». L’azienda APEEL ha brevettato la sua particolare tecnologia, che va a braccetto con altre idee simili, come i contenitori commestibili o completamente biodegradabili. L’obiettivo è diminuire l’impatto sull’ambiente diminuendo la plastica e altri agenti inquinanti, contemporaneamente abbattendo lo spreco alimentare. MA QUANDO IN MEZZO ALLE INIZIATIVE C’È LO ZAMPINO DI BILL GATES, PER LA MAGGIORANZA DELLE PERSONE di tratta DI BEN ALTRI SCOPI!!!!! D’altra parte l’esperienza recente dei vaccini ci ha insegnato questo!

Il patrocinio di Bill Gates

È proprio questa la notizia più importante che fa pensare. Non si tratta di una tecnologia in fase di studio, ma di un prodotto già in commercioNel dicembre dell’anno scorso sono iniziate le prime vendite, nei prossimi mesi dovremmo vedere molti supermercati – prima negli USA e poi italiani – adottare questo tipo di prodotti, anche per nuovi frutti e ortaggi.

Il metodo di Apeel, però, non allunga la vita del prodotto fresco trasformandolo: la maggiore durata della shelf life deriva da un trattamento con un composto segreto.

Il metodo segreto di Apeel

Nella pratica, Apeel, applicando un composto trasparente la cui ricetta non è stata svelata, è in grado di non fare ossidare e disidratare frutta e verdura, i quali restano sodi e turgidi più a lungo. Della pozione magica si sa solo che viene ricavata dagli scarti della lavorazione vegetalee che viene spalmata o nebulizzata sui frutti e sugli ortaggi freschi: “Lime, avocado, cetriolo hanno una buccia che serve per proteggerli – si legge sul sito dell’azienda – Le sostanze che si trovano in bucce, semi e polpa (lipidi e glicerolipidi) sono ciò che usiamo come elementi costitutivi della nostra miscela brevettata con cui trattiamo frutta e verdura per prolungarne la durata”. I prodotti che devono essere sottoposti al trattamento vengono posti su un rullo trasportatore e quindi irrorati in maniera uniforme con il composto. In seguito vengono fatti asciugare per tre minuti in un forno a 60 gradi!!!!!!😱😱😱😱😱😱. Finito il trattamento sono pronti per essere confezionati e, quindi, per essere trasportati e posti sugli scaffali della grande distribuzione. La società californiana per ora sta applicando il suo metodo su avocado, mango, agrumi, mele, cetrioli e asparagi. Ma, chissà, un domani la platea potrebbe allargarsi.


In Italia?

La domanda sorge spontanea: i prodotti ortofrutticoli a lunga conservazione si possono già trovare in Italia? La risposta sta nella partnership tra l’azienda statunitense e Orsero. Alessandro Canalella, chief commercial officer del Gruppo Orsero, la scorsa primavera aveva commentato: “La partnership con Apeel è per noi strategica. Dal punto di vista commerciale ci permette di introdurre un’innovazione sul mercato europeo, dedicata a un prodotto, come l’avocado, il cui consumo cresce a doppia cifra ed è sempre più diffuso e popolare. La novità alimenterà questo trend, permettendo di allungare la shelf life dei frutti. Il beneficio gioverà a tutti gli anelli della filiera, compreso il consumatore. La partnership, inoltre, rafforza il nostro impegno nella lotta allo spreco alimentare, principio base della filosofia del Gruppo. Oltre alle azioni già intraprese per efficientare le fasi di trasporto e stoccaggio dei prodotti, e la collaborazione con i banchi alimentari per donare i prodotti edibili ma non più commerciabili, potremo ora agire anche sulla riduzione della creazione di spreco alimentare”.

MAH!

FONTE: Myfruit

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28 Marzo 2023 – Redazione

 

Le birre artigianali sono sempre più apprezzate dai consumatori e, in Sardegna, si contano già 44 birrifici artigianali (oltre 1000 nello Stivale). Manca solo una filiera che rafforzi il prodotto e lo valorizzi, anche perché non mancano le eccellenze. È questa la proposta di Coldiretti Sardegna, avanzata durante il convegno tenutosi a Nuoro sabato 25 marzo proprio su questo settore in ascesa.

All’incontro era presente anche Teo Musso, presidente del Consorzio birra italiano e titolare del birrificio Baladin, la realtà più famosa nel panorama italiano e che produce il 98 per cento delle materie prime della sua birra nella propria azienda agricola. “In 25 anni i birrifici artigianali hanno determinato una rivoluzione culturale nel mondo brassicolo italiano – ha dichiarato Musso -. Il lavoro che stiamo portando avanti dal 1996 ha cambiato la percezione della birra che non è più un mono-prodotto ma ha tante sfumature aromatiche legate al territorio italiano grazie agli oltre mille birrifici artigianali e alle oltre 15mila etichette”.

Coldiretti Sardegna crede nel settore e stiamo lavorando con il Consorzio per unire i birrifici artigianali che sposano la filiera agricola e ascoltare le loro esigenze – ha evidenziato il direttore di Coldiretti Sardegna, Luca Saba -. Stiamo costruendo un percorso di filiera sarda facendo incontrare tutti i protagonisti, da chi coltiva a chi trasforma, e lavoreremo per allargare la produzione di orzo sardo con contratti di filiera. Allo stesso tempo stiamo creando momenti pubblici di festa in cui si faccia squadra tra imprese e si valorizzi la birra artigianale in Sardegna e non solo”.

Le grandi opportunità che offre il Consorzio della birra sono emerse anche a Nuoro come una piattaforma di distribuzione, che si sta già costituendo, che garantirebbe ai birrifici artigianali di tagliare i costi nell’acquisto delle materie prime, oltre a garantire il valore aggiunto di una birra 100 per cento italiana e magari anche sarda come testimonia l’esempio di Marduk, birrificio agricolo di Irgoli che produce oltre il 90 per cento delle materie prime nella propria azienda agricola.

“Adesso si parla di filiera, di un prodotto legato alla terra che stiamo rafforzando e valorizzando con il Consorzio della birra italiana nato nel 2019 grazie alla Coldiretti – ha detto il direttore del Consorzio, Carlo Schizzerotto – che intende divenire il punto di riferimento per il settore riunendo tutti i birrifici che sposano la filiera italiana. Abbiamo la capacità di fare sistema oltre che formazione e offrire nuove opportunità”.

Al convegno è intervenuto anche Luca Pretti, ricercatore di Porto Conte ricerche, il più grande esperto di birre artigianali in Sardegna, e non solo, che sta contribuendo concretamente a far crescere il settore nel territorio regionale.

“È un settore giovane con protagonisti i giovani che stanno dimostrando grande passione – ha detto Battista Cualbu, presidente Coldiretti Sardegna -. Un settore in ascesa con il quale cercheremo insieme di fare un ulteriore percorso di crescita. Dalla discussione sono emerse diverse opportunità che lavoreremo per mettere in atto coinvolgendo tutti gli stakeholder”.


OPPORTUNITÀ’, CHE DOVREBBERO COGLIERE AL VOLO TUTTE QUELLE REGIONI ITALIANE CHE POSSONO SVILUPPARE QUESTA SPECIFICA VOCAZIONE ARTIGIANALE. ANCHE ALLA LUCE DELL’ACQUISIZIONE DEL COLOSSO INDUSTRIALE DELLA BIRRA (HEINEKEN) DA PARTE DI BILL GATES. MULTINAZIONALE CHE INGLOBA PRODOTTI ITALIANI, TRA CUI ICHNUSA E MORETTI.

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I20 Marzo 2023 – Redazione – Introduzione di Marzia MC Chiocchi – articolo di Ugo Natale (Gazzetta Ennese)

 

Quante volte dal 2008 ad oggi (fallimento della Leheman Brothers negli USA) le Banche, i titoli e tutto ciò che al settore finanziario è collegato, hanno fatto tremare i risparmiatori! Pensiamo ai titoli spazzatura venduti nel mondo a gente comune che, su questi, ha investito grosse somme di danaro tra cui, spesso, i risparmi di una vita! Nel 2015 furono 4 le banche italiane  finite in default: Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e CariChieti, e, per conseguenza, furono numerosi gli investitori che persero i propri soldi. Secondo una spiegazione semplicistica, la colpa fu attribuita ad un decreto governativo, ma in realtà, studiando la genesi della storia, dobbiamo andare indietro di un paio d’anni, quando emersero i primi problemi per responsabilità degli amministratori e degli istituti bancari, senza che il Governo Italiano, l’Unione Europea, la Banca d’Italia, la Consob e i politici intervenissero in qualche modo. Tanto che centoquarantamila risparmiatori persero in totale 430 milioni di euro.

Le banche hanno sempre giocato sporco, ma negli ultimi 20 anni ancor di più. Ed e’ notizia di due giorni fa che la BCE (Banca Centrale Europea) ha alzato ancora di più i tassi sui mutui, sferrando una nuova batosta! Le élites che gestiscono fiumi di danaro hanno sempre fatto e continuano a far il cattivo tempo, anche se non sempre ne sono usciti puliti. A livello mondiale, dopo oltre 60 anni, nel 1999, fu Clinton a cambiare le regole, che innescarono quella miccia che, nel 1929, fece saltare il banco a Wall Street. Ma di questo parleremo alla fine dell’articolo.
Prima, e a tal proposito, racconterò la storia di un italoamericano, Ferdinand Pecora, che indagò sul martedì nero di Wall Street (New York 29 ottobre 1929) e che, per circa 60 anni, grazie alla sua legge, ha tutelato i nostri risparmi, anche a livello mondiale. Ecco chi era in questo articolo di Ugo Natale della Gazzetta Ennese ⤵️⤵️⤵️⤵️⤵️

Cercando l’archivio di Time magazine per una ricerca, mi sono imbattuto nella copertina del numero 24 del 12 Giugno 1933. La foto è quella di un distinto signore dai capelli neri, lineamenti marcati e un sigaro in bocca. Sotto la foto il nome: Ferdinand Pecora.

Fui incuriosito perché il nome era tipicamente Italiano, quasi sicuramente Siciliano. Perché incuriosito dunque? Perché quelli erano anni in cui tutti gli Italiani erano considerati “WOP” cioé guappi sporchi e truffaldini. Incuriosito, anche perché non avevo trovato alcun accenno di Ferdinand Pecora nel libro di Mangione e Morreale “La Storia, five centuries of the Italian American experience”. Mi sono allora mosso sul Web, e ho scoperto una storia che mi ha letteralmente scosso per la sua attualità.

Ferdinand Pecora era nato a Nicosia, provincia di Enna, il 6 Gennaio 1882. La famiglia era emigrata in America nel 1886. Da ragazzo Ferdinand era stato costretto a lasciare la scuola per un incidente sul lavoro subito dal padre. Ma il suo forte carattere e determinazione lo portarono a finire con successo la New York Law School fino a passare l’esame di abilitazione per lo Stato di New York nel 1911.

Nel 1918 fu nominato vice procuratore distrettuale per la città di New York, mettendosi in luce per le sue capacità investigative ma sopratutto per la sua onestà. Onestà che ovviamente dava fastidio all’apparato organizzativo (Tammany Hall) del Partito democratico cui Pecora apparteneva. Infatti fu proprio Tammany Hall che bocciò la nomina di Pecora a procuratore distrettuale nel 1929. A questo punto Pecora lasciò gli uffici della procura per la libera professione. Ma Pecora aveva già lasciato un importante traccia del suo onesto e capace lavoro in procura. Era riuscito infatti a fare chiudere più di cento “bucket shops”. Questi erano dei veri uffici clandestini dove si scommetteva sull’aumento o sulla diminuzione del valore di titoli e azioni ma anche sul prezzo a venire del petrolio, del grano etc. In considerazione del fatto che in effetti non avveniva nessun acquisto o vendita di azioni o altro, l’operazione era considerata illegale, perché il “bucket shop” operava come un casinò senza licenza e supervisione delle autorità di controllo.

Nel 1932 il Senato a maggioranza Repubblicana istituì una commissione d’inchiesta per stabilire le cause dell’orrendo crash di Wall Street nel 1929. Era chiaro a tutti che vi erano state irregolarità, vere e proprie attività criminali di tipico stampo mafioso tra le banche e gli istituti finanziari dell’epoca. I primi due presidenti della commissione furono mandati a casa con l’accusa di incompetenza mentre il terzo si dimise quando si rese conto che il Senato aveva posto evidenti limiti ai suoi poteri di investigatore. Nel 1933 a Pecora fu dato mandato di concludere l’inchiesta. Nel frattempo le elezioni avevano portato i Democratici a conquistare la maggioranza del Senato e il nuovo presidente Franklin D. Roosevelt si impegnò personalmente affinché l’inchiesta continuasse e andasse più a fondo possibile. In fin dei conti le cifre parlavano chiaro. Dal 1929 la metà delle banche Americane erano fallite e avevano portato nelle tombe i risparmi di nove milioni di famiglie Americane. Lo stock market aveva perso quasi l’80% del suo valore e secondo stime ufficiali vi erano 17 milioni di disoccupati. Pecora, con pieni poteri, si mise subito al lavoro, e con la sua squadra di avvocati e commercialisti passò al setaccio migliaia di documenti, ricevute fiscali, fatture, insomma tutto quello che poteva interessare. Pecora aveva una prodigiosa memoria e una grandissima capacità di mettere insieme dettagli che ad altri sembravano scollati dal grande mosaico che lo stesso Pecora stava costruendo.

Il primo testimone fu “Sunshine Charley” Mitchell presidente della National City Bank, oggi Citicorp. Il mariulo sotto pressione ammise che sin dal 1916 la banca trafficava in titoli, contravvenendo a quanto prevedeva la legge d’allora. In più Pecora lo mise di fronte al fatto compiuto quando gli fece ammettere di avere evaso le tasse nel 1929 ricorrendo al famoso intrallazzo, per i ricchi, del prestito ricevuto dalla banca. Mitchell dovette anche ammettere chetra il 1927 e il 1928 la National City Bank collocò sul mercato 90 milioni di dollari di titoli spazzatura del governo Peruviano contrabbandandoli per ottimi. E questo era solamente una delle attività criminali che vennero alla luce grazie alla “Pecora Commission”. In un articolo a proposito di tutto il liquame che stava venendo a galla, Time magazine coniò il termine “Banksters” peri identificare i tipi come Mitchell mentre il Senatore del Montana Burton Wheeler disse che quanto meno questi individui avrebbero dovuto essere trattati alla stregua di Al Capone.

Un altro testimone eccellente fu J.P.Morgan Jr.. Quando Pecora gli chiese se avesse pagato le tasse sul reddito per gli anni 1930, ‘31, ‘32 Morgan, dall’alto della sua proverbiale arroganza, disse di non ricordare, al che Pecora presentò documenti che dimostravano che la risposta del bankster avrebbe dovuto essere ‘No’.

ADESSO LEGGETE ATTENTAMENTE QUESTI DUE PASSAGGI PERCHÉ SONO LA CONSEGUENZA LOGICA DI TUTTO IL CAOS CHE STIAMO VIVENDO ⤵️⤵️⤵️⤵️⤵️

Alla fine il fantastico lavoro di Pecora e dei suoi collaboratori dimostrò che le attività criminali di banche e istituti finanziari avevano portato la Great Depression del 1929 e avevano continuato a mietere vittime negli anni a venire. Il governo Roosevelt, intanto, varò una serie di misure che effettivamente limitavano la manovrabilità di pirati e sciacalli che operavano tra le banche e gli istituti finanziari. Nel 1933 fu varata la Security Act e nel 1934 la Security Exchange Act mentre nel 1933 vide la luce la Famosa legge Glass-Steagall Act che tra l’altro fortemente limitava la speculazione incontrollata e criminale delle banche e dei mercati finanziari.

Nel Novembre del 1999 il Presidente Democratico, si fa per dire, Clinton firmò la legge che di fatto smantellava il Glas Seagall Act aprendo così le porte del pollaio che fu immediatamente invaso dagli sciacalli e dai lupi di Wall Street.

La straordinaria attualità dei risultati della “Pecora Commission” è che per esempio mentre si parlava di sacrifici i “pezzi da novanta” delle banche si arricchivano in modo vergognoso rispetto ai lavoratori e impiegati. 1929 o 2009?

L’inchiesta provò, anche che per esempio come i trader fossero incentivati dietro compenso di laute provvigioni a vendere quanti più titoli potessero anche quelli spazzatura e tossici. 1929 o 2009? Insomma l’attualità della “Pecora Commission” è addirittura imbarazzante se si pensa cheFerdinand Pecora l’aveva prevista già nel 1939 col suo libro “Wall Street under oath”. Ferdinand Pecora, un grande onesto Italiano e un eroe Americano.

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12 marzo 2023 – Redazione

L’eccellenza italiana continua a far parlare di se’, anche se l’Europa, con le sue ridicole e ipocrite leggi e leggine, vorrebbe affossare il Made in Italy. In Sardegna è infatti nato un nuova qualità di riso nero. Si chiama “Riso Jolly nero” e da poco è nell’elenco del registro parietale dell’Ente nazionale risi.

Il produttore è Gianni Meli, uno dei più grossi risicoltori della provincia di Oristano con produzioni nelle campagne di Cabras, Oristano, Silì, Zeddiani e Baratili San Pietro. Figlio d’arte: il papà era Tatano Meli, uno dei maggiori imprenditori risicoli italiani, per anni presidente dell’Unione provinciale agricoltori di Oristano e dirigente nazionale della Confagricoltura. A Cabras, paese d’origine di Gianni Meli, all’interno della nuova cantina Contini si è svolta la presentazione del nuovo prodotto, su progetto iniziato nove anni fa, e che ha raccolto, nel tempo, ricerche e sperimentazioni sulle sementi. Come ha spiegato il Consiglio per la ricerca in agricoltura, l’azienda ha scelto di fare l’iscrizione con la protezione della varietà.

“Questo significa che chiunque potrà migliorare la qualità del riso ma dovrà per forza coltivarlo nei terreni di proprietà dell’azienda che lo ha creato. All’azienda, quindi, si dovrà sempre riconoscere la paternità”

Gianni Meli racconta come è nato questo progetto: «Innanzitutto dalla voglia di crescere – ha commentato – La passione per il riso all’interno della mia famiglia c’è semp

A Cabras, paese d’origine di Gianni Meli, all’interno della nuova cantina Contini c’è stata la presentazione al pubblico del nuovo prodotto. Si tratta di un progetto iniziato nove anni fa, e che ha raccolto nel tempo ricerche e sperimentazioni sulle sementa. Come ha spiegato il Consiglio per la ricerca in agricoltura, l’azienda ha scelto di fare l’iscrizione con la protezione della varietà. Questo significa che chiunque potrà migliorare la qualità del riso ma dovrà per forza coltivarlo nei terreni di proprietà dell’azienda che lo ha creato. All’azienda, quindi, si dovrà sempre riconoscere la paternità.

Gianni Meli racconta come è nato questo progetto: «Innanzitutto dalla voglia di crescere – commenta – La passione per il riso, all’interno della mia famiglia, c’è sempre stato. Ecco perché ho voluto creare qualcosa di nuovo, di diverso. Prima di commercializzare il riso confezionato ci sono voluti tantissimi anni, sia  per la ricerca della spiga giusta, per gli esiti delle commissioni varie e infine per i controlli da parte del Crea, il Consiglio superiore per la ricerca in agricoltura». Per l’azienda Meli, questa nuova varietà è un sogno che si realizza. Per ora sono stati prodotti 600 quintali di riso nero. Circa centocinquanta sono già negli scaffali dei supermercati di Cabras e di Oristano.

Il nuovo prodotto è stato apprezzato anche dagli chef invitati alla presentazione del nuovo prodotto isolano.

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