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I20 Marzo 2023 – Redazione – Introduzione di Marzia MC Chiocchi – articolo di Ugo Natale (Gazzetta Ennese)

 

Quante volte dal 2008 ad oggi (fallimento della Leheman Brothers negli USA) le Banche, i titoli e tutto ciò che al settore finanziario è collegato, hanno fatto tremare i risparmiatori! Pensiamo ai titoli spazzatura venduti nel mondo a gente comune che, su questi, ha investito grosse somme di danaro tra cui, spesso, i risparmi di una vita! Nel 2015 furono 4 le banche italiane  finite in default: Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e CariChieti, e, per conseguenza, furono numerosi gli investitori che persero i propri soldi. Secondo una spiegazione semplicistica, la colpa fu attribuita ad un decreto governativo, ma in realtà, studiando la genesi della storia, dobbiamo andare indietro di un paio d’anni, quando emersero i primi problemi per responsabilità degli amministratori e degli istituti bancari, senza che il Governo Italiano, l’Unione Europea, la Banca d’Italia, la Consob e i politici intervenissero in qualche modo. Tanto che centoquarantamila risparmiatori persero in totale 430 milioni di euro.

Le banche hanno sempre giocato sporco, ma negli ultimi 20 anni ancor di più. Ed e’ notizia di due giorni fa che la BCE (Banca Centrale Europea) ha alzato ancora di più i tassi sui mutui, sferrando una nuova batosta! Le élites che gestiscono fiumi di danaro hanno sempre fatto e continuano a far il cattivo tempo, anche se non sempre ne sono usciti puliti. A livello mondiale, dopo oltre 60 anni, nel 1999, fu Clinton a cambiare le regole, che innescarono quella miccia che, nel 1929, fece saltare il banco a Wall Street. Ma di questo parleremo alla fine dell’articolo.
Prima, e a tal proposito, racconterò la storia di un italoamericano, Ferdinand Pecora, che indagò sul martedì nero di Wall Street (New York 29 ottobre 1929) e che, per circa 60 anni, grazie alla sua legge, ha tutelato i nostri risparmi, anche a livello mondiale. Ecco chi era in questo articolo di Ugo Natale della Gazzetta Ennese ⤵️⤵️⤵️⤵️⤵️

Cercando l’archivio di Time magazine per una ricerca, mi sono imbattuto nella copertina del numero 24 del 12 Giugno 1933. La foto è quella di un distinto signore dai capelli neri, lineamenti marcati e un sigaro in bocca. Sotto la foto il nome: Ferdinand Pecora.

Fui incuriosito perché il nome era tipicamente Italiano, quasi sicuramente Siciliano. Perché incuriosito dunque? Perché quelli erano anni in cui tutti gli Italiani erano considerati “WOP” cioé guappi sporchi e truffaldini. Incuriosito, anche perché non avevo trovato alcun accenno di Ferdinand Pecora nel libro di Mangione e Morreale “La Storia, five centuries of the Italian American experience”. Mi sono allora mosso sul Web, e ho scoperto una storia che mi ha letteralmente scosso per la sua attualità.

Ferdinand Pecora era nato a Nicosia, provincia di Enna, il 6 Gennaio 1882. La famiglia era emigrata in America nel 1886. Da ragazzo Ferdinand era stato costretto a lasciare la scuola per un incidente sul lavoro subito dal padre. Ma il suo forte carattere e determinazione lo portarono a finire con successo la New York Law School fino a passare l’esame di abilitazione per lo Stato di New York nel 1911.

Nel 1918 fu nominato vice procuratore distrettuale per la città di New York, mettendosi in luce per le sue capacità investigative ma sopratutto per la sua onestà. Onestà che ovviamente dava fastidio all’apparato organizzativo (Tammany Hall) del Partito democratico cui Pecora apparteneva. Infatti fu proprio Tammany Hall che bocciò la nomina di Pecora a procuratore distrettuale nel 1929. A questo punto Pecora lasciò gli uffici della procura per la libera professione. Ma Pecora aveva già lasciato un importante traccia del suo onesto e capace lavoro in procura. Era riuscito infatti a fare chiudere più di cento “bucket shops”. Questi erano dei veri uffici clandestini dove si scommetteva sull’aumento o sulla diminuzione del valore di titoli e azioni ma anche sul prezzo a venire del petrolio, del grano etc. In considerazione del fatto che in effetti non avveniva nessun acquisto o vendita di azioni o altro, l’operazione era considerata illegale, perché il “bucket shop” operava come un casinò senza licenza e supervisione delle autorità di controllo.

Nel 1932 il Senato a maggioranza Repubblicana istituì una commissione d’inchiesta per stabilire le cause dell’orrendo crash di Wall Street nel 1929. Era chiaro a tutti che vi erano state irregolarità, vere e proprie attività criminali di tipico stampo mafioso tra le banche e gli istituti finanziari dell’epoca. I primi due presidenti della commissione furono mandati a casa con l’accusa di incompetenza mentre il terzo si dimise quando si rese conto che il Senato aveva posto evidenti limiti ai suoi poteri di investigatore. Nel 1933 a Pecora fu dato mandato di concludere l’inchiesta. Nel frattempo le elezioni avevano portato i Democratici a conquistare la maggioranza del Senato e il nuovo presidente Franklin D. Roosevelt si impegnò personalmente affinché l’inchiesta continuasse e andasse più a fondo possibile. In fin dei conti le cifre parlavano chiaro. Dal 1929 la metà delle banche Americane erano fallite e avevano portato nelle tombe i risparmi di nove milioni di famiglie Americane. Lo stock market aveva perso quasi l’80% del suo valore e secondo stime ufficiali vi erano 17 milioni di disoccupati. Pecora, con pieni poteri, si mise subito al lavoro, e con la sua squadra di avvocati e commercialisti passò al setaccio migliaia di documenti, ricevute fiscali, fatture, insomma tutto quello che poteva interessare. Pecora aveva una prodigiosa memoria e una grandissima capacità di mettere insieme dettagli che ad altri sembravano scollati dal grande mosaico che lo stesso Pecora stava costruendo.

Il primo testimone fu “Sunshine Charley” Mitchell presidente della National City Bank, oggi Citicorp. Il mariulo sotto pressione ammise che sin dal 1916 la banca trafficava in titoli, contravvenendo a quanto prevedeva la legge d’allora. In più Pecora lo mise di fronte al fatto compiuto quando gli fece ammettere di avere evaso le tasse nel 1929 ricorrendo al famoso intrallazzo, per i ricchi, del prestito ricevuto dalla banca. Mitchell dovette anche ammettere chetra il 1927 e il 1928 la National City Bank collocò sul mercato 90 milioni di dollari di titoli spazzatura del governo Peruviano contrabbandandoli per ottimi. E questo era solamente una delle attività criminali che vennero alla luce grazie alla “Pecora Commission”. In un articolo a proposito di tutto il liquame che stava venendo a galla, Time magazine coniò il termine “Banksters” peri identificare i tipi come Mitchell mentre il Senatore del Montana Burton Wheeler disse che quanto meno questi individui avrebbero dovuto essere trattati alla stregua di Al Capone.

Un altro testimone eccellente fu J.P.Morgan Jr.. Quando Pecora gli chiese se avesse pagato le tasse sul reddito per gli anni 1930, ‘31, ‘32 Morgan, dall’alto della sua proverbiale arroganza, disse di non ricordare, al che Pecora presentò documenti che dimostravano che la risposta del bankster avrebbe dovuto essere ‘No’.

ADESSO LEGGETE ATTENTAMENTE QUESTI DUE PASSAGGI PERCHÉ SONO LA CONSEGUENZA LOGICA DI TUTTO IL CAOS CHE STIAMO VIVENDO ⤵️⤵️⤵️⤵️⤵️

Alla fine il fantastico lavoro di Pecora e dei suoi collaboratori dimostrò che le attività criminali di banche e istituti finanziari avevano portato la Great Depression del 1929 e avevano continuato a mietere vittime negli anni a venire. Il governo Roosevelt, intanto, varò una serie di misure che effettivamente limitavano la manovrabilità di pirati e sciacalli che operavano tra le banche e gli istituti finanziari. Nel 1933 fu varata la Security Act e nel 1934 la Security Exchange Act mentre nel 1933 vide la luce la Famosa legge Glass-Steagall Act che tra l’altro fortemente limitava la speculazione incontrollata e criminale delle banche e dei mercati finanziari.

Nel Novembre del 1999 il Presidente Democratico, si fa per dire, Clinton firmò la legge che di fatto smantellava il Glas Seagall Act aprendo così le porte del pollaio che fu immediatamente invaso dagli sciacalli e dai lupi di Wall Street.

La straordinaria attualità dei risultati della “Pecora Commission” è che per esempio mentre si parlava di sacrifici i “pezzi da novanta” delle banche si arricchivano in modo vergognoso rispetto ai lavoratori e impiegati. 1929 o 2009?

L’inchiesta provò, anche che per esempio come i trader fossero incentivati dietro compenso di laute provvigioni a vendere quanti più titoli potessero anche quelli spazzatura e tossici. 1929 o 2009? Insomma l’attualità della “Pecora Commission” è addirittura imbarazzante se si pensa cheFerdinand Pecora l’aveva prevista già nel 1939 col suo libro “Wall Street under oath”. Ferdinand Pecora, un grande onesto Italiano e un eroe Americano.

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14 Marzo 2023 – Redazione – di Claudio Pira (sito: eventidimenticati.it)

 

Quando gli Stati Uniti entrarono a far parte delle coalizioni coinvolte nella seconda Guerra Mondiale, precisamente il 7 dicembre del 1941, tra i molti provvedimenti che il governo di Roosevelt prese in quel momento ce ne fu uno molto particolare, che si ricollega al titolo dell’articolo: donare bottigliette di Coca-Cola al suo esercito. Ma perché? E quale risultato ebbe tale “politica bellica”?

Gli stratagemmi americani in guerra

Come già anticipato, il governo statunitense all’epoca presieduto dallo storico presidente Franklin Delano Roosevelt ebbe un’idea alquanto particolare per sostenere le truppe in Europa e tenere loro alto il morale. Il gabinetto di governo iniziò a pensare ad una serie di stratagemmi per migliorare morale e integrità del proprio esercito in un continente lontano, facendo loro capire l’importanza del conflitto e allo stesso tempo dimostrando loro che il proprio governo continuava a sostenerli a distanza, anche e soprattutto con dei piccoli gesti. Fu così che venne presto proposta l’idea di considerare lo zucchero come materiale effettivamente utile ad uno sforzo bellico molto grande come quello che appunto avrebbero dovuto affrontare ben presto i soldati nel continente europeo. Razionare lo zucchero per l’uso civile era l’unica soluzione per far sì che gran parte della sua produzione venisse poi distribuita anche ai soldati in guerra. Questo espediente in realtà era già stato utilizzato durante la prima guerra mondiale, ma in minima parte.

Tuttavia non fu facile per il governo e le aziende nazionali fornire un quantitativo così grande di zucchero lavorato, facilmente conservabile e allo stesso tempo invitante da assumere. Fu così che si pensò di coinvolgere le due più grandi aziende americane che lavoravano e utilizzavano lo zucchero per la creazione di bevande alimentari molto diffuse tra la popolazione e ben accette da tutti: stiamo parlando di Coca-Cola e Pepsi Cola, nate rispettivamente ad Atlanta nel 1892 e in Nord Carolina nel 1893.

Queste due aziende, seppur grandi e ben diffuse su tutto il territorio americano, necessitavano continuamente di dolcificante per preparare le proprie bevande da distribuire, ora non soltanto più sul mercato nazionale ma anche a tutti i soldati coinvolti nel conflitto in Europa. Fu così che ben presto, prima della messa a punto del piano di governo per i soldati, entrambe ebbero molta difficoltà a produrre quantitativi ottimali per il rifornimento delle truppe. Per ovviare al problema, fu proprio l’industria della Coca-Cola che in primis riuscì a convincere l’amministrazione degli Stati Uniti dell’importanza del piano di rifornimento dello zucchero, al fine anche dell’aumento delle prestazioni sportive/belliche, oltre che per il morale delle truppe al fronte. Roosevelt doveva fare qualcosa per mettere in atto il piano che il suo governo aveva varato: le industrie avevano dato la loro disponibilità a collaborare, ma per realizzarlo doveva sostenerle maggiormente, fornendo loro più materie prime.

Il progetto dunque non si spense e, dopo una serie di problematiche iniziali la Coca-Cola per prima concluse con il governo un contratto di fornitura delle proprie bibite per tutte le forze armate americane coinvolte nel conflitto mondiale, il quale gli permise di poter usufruire illimitatamente di tutto lo zucchero necessario per la produzione anche di quelle messe normalmente in vendita negli scaffali dei supermercati, senza che nessuno ci facesse realmente caso. Inoltre, alcuni impiegati della Coca-Cola tra i più preparati, furono anche inviati nel vecchio continente sotto forma di “ufficiali tecnici” contribuendo all’installazione di numerosi impianti di imbottigliamento in diverse località d’oltremare.

La strategia della grande multinazionale era chiara: non soltanto sfruttare i benefici statali per vendere sempre più bottiglie, ma anche porre le basi di una sua futura espansione soprattutto dopo il conflitto armato, facendo sì di sbaragliare un eventuale concorrenza futura. Tutti avrebbero avuto a che fare con il marchio “Coca-Cola”, a partire dai soldati, fino ai civili nel periodo della ricostruzione!

La reazione sulle truppe

Ben presto, in migliaia di lettere inviate a casa dai militari in guerra espressero un enorme stupore e soddisfazione per la distribuzione ad un prezzo praticamente regalato di Coca-Cola (c’è chi ci parla di pochi franchi e chi dice di averla ricevuta gratis con il proprio pasto), segno che il piano stava dando i suoi frutti sul morale.

Ecco, ad esempio, una lettera proveniente dalla collezione d’archivio del Museo Nazionale della Seconda Guerra Mondiale che mette bene in luce l’effetto della bevanda zuccherata sul morale di un anonimo militare ⤵️
“Dear Folks, You’ll never guess what I had to drink this evening. Not whiskey, not gin, not Calvados, not beer, but good old fashioned “Coca-Cola” in the bottle that’s made to fit the hand. Just a few moments before we left our staging area to board the boat Dick and I bought two Cokes, and drank them to the next time we’d be drinking bottled Cokes, believing that that would be in the USA. But not so! As part of our PX ration this week each man received two Cokes for which he paid four francs, and although some people may debate whether rye or bourbon are America’s national drinks, when I saw the excitement caused by a case of Cokes and the remarks about the corner drugstore, I did not think the national drink was quite that strong!”

(Cari ragazzi, non indovinerete mai cosa ho dovuto bere questa sera. Non whisky, non gin, non Calvados, non birra, ma la buona “Coca-Cola” vecchio stile nella bottiglia che è fatta per adattarsi alla tua mano. Pochi istanti prima di lasciare la nostra area di sosta per imbarcarci, Dick ed io abbiamo comprato due Coca-Cola, e le abbiamo bevute fino alla prossima volta che avremmo bevuto Coca-Cola in bottiglia, credendo che sarebbe stato negli USA. Ma non è così! Come parte della nostra razione PX questa settimana ogni uomo ha ricevuto due Cokes per le quali ha pagato quattro franchi, e anche se alcune persone possono discutere se il rye o il bourbon siano le bevande nazionali dell’America, quando ho visto l’eccitazione causata da una cassa di Cokes e le osservazioni sul drugstore all’angolo, non pensavo che la bevanda nazionale fosse così forte!”

Dalla distribuzione alle pubblicità “soft”

In effetti, le pubblicità della Coca-Cola durante la guerra affrontavano i temi più delicati del conflitto. Piuttosto che mostrare soldati stanchi a causa della guerra che si godono la loro bottiglia, la compagnia si concentrò sulla capacità della Coca-Cola di unire persone e nazioni, come si vede nelle pubblicità che ritraggono i soldati che si mescolano e ridono con inglesi, polacchi, sovietici e altri alleati (dall’Alaska e dalle Hawaii al Brasile e alla Cina), sempre con una didascalia del tipo: “Have a ‘Coke’ – un modo per dire che siamo con voi”. La Coca-Cola Company approfittò anche del suo consolidato slogan “La pausa che rinfresca” applicandolo ai lavoratori del fronte interno, spesso donne, incoraggiate a prendersi una pausa dalla costruzione di aerei e navi con la famosa bevanda zuccherata. L’idea dietro le pubblicità, supportata da un progetto di ricerca scientifica completato nel 1941 dai dirigenti della Coca-Cola, era che i lavoratori del fronte interno e i soldati avrebbero lavorato in modo più efficiente se avessero avuto un momento di pausa per rinfrescarsi con una Coca-Cola. Una pubblicità dell’epoca infatti recita: “Gli uomini lavorano meglio rinfrescati… Una nazione in guerra attua uno sforzo produttivo con un nuovo ritmo… In tempi come questi la Coca-Cola sta facendo un lavoro necessario per tutti i lavoratori”.

Mentre la Coca-Cola Company era impegnata a risollevare il morale delle forze combattenti americane, stavano contemporaneamente gettando le basi per diventare un simbolo internazionale di ristoro e solidarietà. Molti degli impianti di imbottigliamento stabiliti all’estero durante la guerra hanno continuato a funzionare come fabbriche dopo la sua fine. Inoltre, i militari che piano piano liberavano le città di tutta Europa o lavoravano fianco a fianco con la gente del posto si sono sentiti orgogliosi di condividere la loro bevanda preferita con i loro nuovi amici, creando così un’enorme base di consumatori in tutto il mondo che non sarebbe stata possibile senza la cooperazione dello stesso generale Eisenhower in Europa e della stessa Coca-Cola Company nel lavorare per migliorare il morale del combattente americano.

Con una mossa brillante e allo stesso tempo lungimirante, quella che oggi può essere giustamente considerata come una delle più grandi multinazionali al mondo riuscirà ad imporsi come industria leader nel secondo dopoguerra. Si calcola che durante la seconda Guerra Mondiale furono consumate dai soldati americani circa 10 miliardi di bottigliette di Coca-Cola, alcune delle quali possono ancora essere ritrovate in diversi siti bellici dedicati alla Seconda Guerra Mondiale. Una cosa però è certa: grazie a questa brillante mossa di marketing, tutti dopo il 1945 avrebbero conosciuto ed apprezzato il marchio Coca-Cola nel mondo!

Fonti:

http://www.nww2m.com/2011/08/coca-cola-the-pause-that-refreshed-2/

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