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07 Maggio 2023 – Redazione

 

Ha abbattuto il muro del pregiudizio, partecipando negli anni Venti al Giro d’Italia: la storia di Alfonsina Strada.

«Pedalò forte contro il vento del pregiudizio»:

Con queste parole, nell’ottobre 2022, durante l’intervento alla Camera per chiedere la fiducia Giorgia Meloni ha omaggiato Alfonsina Strada. Nel nome, c’era già il suo destino. Alfonsina è stata la pioniera del ciclismo femminile italiano, la prima concorrente donna del Giro d’Italia. In pieno regime fascista, su due ruote ha percorso una lunga strada contro i pregiudizi di quei tempi. Contro le convenzioni sociali che identificavano la figura femminile solo come moglie e madre. Alfonsina è stata tra quelle donne «che hanno osato – per tornare al discorso della Meloni – per impeto, per ragione o per amore». E fatto la differenza.

Alfonsina Strada: storia di una ribelle

Alfonsina Morini, questo il nome da nubile, nacque nel 1891 a Castelfranco Emilia da una famiglia di braccianti agricoli. Sentì presto accendersi la passione per la bicicletta, era ancora una bambina: suo padre ne aveva una, vecchia e malridotta, ma lei se ne innamorò perdutamente.

Cominciò facendo la vedette delle competizioni sportive della zona, poi arrivarono le prime gare a Reggio Emilia e dintorni. Ma poiché c’era l’alto muro del maschilismo sportivo (e non solo), pur di partecipare Alfonsina dovette spacciarsi per un uomo. Era già chiaro, niente l’avrebbe fermata. E si guadagnò così il soprannome di “diavolo in gonnella”.

Ovviamente, i genitori e tutti gli altri parenti non approvavano le sue velleità. Doveva trovare marito come tutte le altre, Alfonsina. E magari diventare una brava sarta. Nel 1905, a soli 14 anni, sposò il meccanico e cesellatore Luigi Strada. La precoce fine di un sogno? No, anzi. La coppia Alfonsina Strada e Luigi Strada sorprese tutti, perché quell’uomo si rivelò di grande intelligenza e mentalità aperta. Nel giorno delle nozze, regalò ad Alfonsina una bici da corsa. L’anno successivo i due si trasferirono a Milano e lui cominciò addirittura a farle da allenatore. Alfonsina Morini Strada prese parte a diverse competizioni, inanellando successi.

Nel 1924 fu ammessa al Giro d’Italia. Sostenne le prime tappe con risultati più che validi, soprattutto considerando che tutti gli altri atleti erano uomini. Durante l’ottava tappa (L’Aquila-Perugia), però, la pioggia e il vento la fecero cadere rovinosamente. Eppure non si arrese. Con l’aiuto di una donna, aggiustò il manubrio della sua bicicletta usando un manico di scopa e ripartì. Arrivò a Perugia per ultima e fuori tempo massimo, esausta e ferita. Ma arrivò. Conquistando tutti gli spettatori, che la accolsero con ammirazione e calore. Tuttavia, anche a causa di chi disapprovava l’emancipazione femminile, venne esclusa dalla gara. Le permisero comunque di prender parte alle seguenti tappe, senza conteggiarne i tempi. Su 90 atleti partiti da Milano, solo 30 portarono a termine l’intero percorso. Tra questi, anche lei.

Nonostante ciò, non le fu mai più permesso di iscriversi al Giro. E sapete cosa fece? Più di una volta lo seguì per conto proprio, naturalmente a bordo della sua bici. Ormai celebre, prese invece parte a molte altre competizioni e si esibì anche nei circhi, pedalando sui rulli. Nel 1938 conquistò il record dell’ora femminile a Longchamp, in Francia, fissandolo a 35,28 chilometri.

Gli ultimi anni e la morte

Alla fine degli anni Quaranta, Alfonsina Strada rimase vedova. Il 9 dicembre 1950 si risposò a Milano con Carlo Messori, a sua volta ex ciclista e ormai quasi settantenne. Insieme aprirono un negozio di biciclette con officina annessa, in via Varesina 80. E lei, manco a dirlo, andava tutti i giorni al lavoro su due ruote. Nel 1957, però, anche Messori morì. Alfonsina mandò avanti l’attività da sola. Però cominciava ad esser stanca, anche di pedalare sempre.

Acquistò quindi una Moto Guzzi 500 di colore rosso, qualcuno disse che fu costretta a vendere parte delle sue medaglie e dei suoi trofei per mettere insieme il denaro necessario. Forse è la verità, forse no. Ma di certo, il tramonto della sua vita non fu luminoso. Il 13 settembre 1959 si spense all’improvviso. La causa della morte di Alfonsina Strada? Infarto. Che la colpì mentre provava a far partire la sua moto ingolfata, spingendo con forza sulla leva di avviamento.

Alfonsina Strada: curiosità

Alfonsina Strada è un esempio, una donna che ha aperto strade a tutte le altre donne. Una guerriera. La descrivevano anche come una persona bizzarra, fuori dal comune. Di certo, è stata un’anticonformista. Un’anima libera, dotata di una forza incredibile. Durante la sua vita ha raggiunto traguardi allora inimmaginabili, ma anche affrontato prove molto dure. Fin da bambina, quando i morsi della fame si facevano sentire eccome.

Quello con Luigi Strada è stato un incontro determinante. L’amava ed era un uomo pieno di virtù. Ma allo stesso tempo molto fragile, per cui a un certo punto rimase vittima della depressione e addirittura finì in manicomio: «Sono una donna – dichiarò Alfonsina nel corso di un’intervista al Guerin Sportivo – è vero. E può darsi che non sia molto estetica e graziosa una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella, ora sono… un mostro. Ma che dovevo fare? La puttana? Ho un marito al manicomio che devo aiutare; ho una bimba al collegio che mi costa 10 lire al giorno. (…) Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di avere fatto bene».

Grazie ai suoi successi sportivi, dunque, riuscì a pagare le rate del manicomio. Ma la figlia di Alfonsina Strada? In realtà non è mai diventata madre. La bambina cui si riferiva era una nipote. Un’ultima curiosità: il giorno in cui morì, aveva assistito alla gara ciclistica Tre Valli Varesine. Si era fatta sera. Alla portiera disse di essersi divertita tanto, che era stata una gran bella giornata. La sua intenzione era quella di portare la moto in negozio e tornare nuovamente a casa in bicicletta. Ma la moto non partiva. Mentre spingeva sulla leva, le cadde sopra. I vicini la portarono in ospedale, ma all’arrivo era già morta.

Alfonsina Strada: il libro

Sono stati scritti diversi libri su questa incredibile donna, ma il più famoso e appassionato è senza dubbio Alfonsina e la strada di Simona Baldelli. Che racconta del suo percorso sportivo e soprattutto indaga sul fronte intimo e privato. Non è una semplice biografia, ma un romanzo costruito su una storia reale. Che coinvolge ed emoziona. Chi è affascinato da Alfonsina Strada, non può perderselo.

 

FONTE: Elle.com

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06 Maggio 2023 – di Marzia MC Chiocchi

Sabato 6 maggio il ciclismo si colorera’ di rosa per la centoseiesima volta. Dalla cornice di Ortona negli Abruzzo, partirà il Giro d’Italia edizione 2023. Era il 13 maggio 1909 quando, Tullio Morgagni, giornalista forlivese, ideo’ la corsa di ciclismo su strada tra le più importanti al mondo, insieme a Tour de France e Vuelta de Espana

Primo storico sponsor, che ancora oggi e’ parte organizzativa del Giro, la rosa “Gazzetta dello Sport”. A parte due brevi interruzioni, causate dagli eventi delle due guerre mondiali, la lunga e magica carovana, da allora, attraversa la nostra penisola, facendo conoscere paesi, città, incantevoli panorami, con tanta gente, ma non più moltissima come una volta, ancora ad applaudire i protagonisti di uno degli spettacoli unici al mondo. Il Giro d’Italia e’ anche la storia dei rapporti umani, di un’Italia che, uscita devastata dalla guerra, cerco’ ogni occasione per ritrovarsi, condividere e sperare.
La voglia di rimettere insieme i pezzi per ricostruire, maturo’ in ognuno un nuovo entusiasmo di rinascita, dal sapore di riscoperta di qualcosa che, le sofferenze del conflitto mondiale, avevano fatto dimenticare. La necessita’ di sopravvivere , aveva creato uno spirito di umana comprensione e forte solidarieta’.
Il ciclismo, ed il Giro d’Italia in particolare, dal dopoguerra agli anni ’60 rappresentò , quindi, il riscatto personale, considerando il fatto che, i beniamini e campioni del momento, avevano un’estrazione sociale modesta o addirittura molto povera. La loro era una vita di fatica, e molti di questi, solo con mille sacrifici, avevano potuto comprare quella bicicletta, che avrebbe realizzato un sogno.
Le loro imprese su strada furono di esempio per tutti coloro che, aspiravano ad una vita migliore. In 3 parole ” aiutarono a sognare “.
Pedalare nelle strade di allora, era tanto faticoso. Significava affrontare percorsi ciottolosi,  pietraie e buche, miste a fango quando pioveva. Il tutto unito ad un abbigliamento ancora in tessuto di lana, che alla prima pioggia s’inzuppava diventando fastidioso e pesante. L’Italia di allora era fatta di gente ancora povera, di bambini affamati sempre per strada, di paesi dove l’analfabetismo imperava e la scuola era privilegio di pochi. Fino agli anni ’60, escludendo le grandi città, il nostro paese era in maggioranza rurale, e il ciclismo, sport di fatica e ancora squattrinato, trasmetteva un forte senso di appartenenza a quel pezzo d’Italia così arretrato che, probabilmente, solo il Giro d’ Italia prima, e la neonata televisione poi, insieme all’ autostrada del sole, avrebbero migliorato ed unito.
Pensiamo al maestro Alberto Manzi che, grazie all TV, con la trasmissione “Non e’ mai troppo tardi”, dal 1960 al ’64  riuscì a far prendere la licenza elementare, a circa un milione e mezzo di italiani.
E questi sono anche gli anni in cui il boom economico prese il sopravvento, e tutto comincio’ a cambiare.
Il Giro d’Italia che uni’ lo stivale, seppe anche dividere gli animi delle persone, in quel gioco di sana rivalità, che portava la gente a tifare per uno o l’altro campione. Chi non ricorda i bartaliani e i coppiani,  i seguaci di Gimondi e Merckx, di Moser e Saronni o di Ulrich e Pantani.
Gli italiani non si appassionarono solo allo stile o al gesto atletico dei campioni, ma spesso e volentieri anche alla loro storia, che molto aveva da raccontare della loro umanità e vita.
Pensiamo a Costante Girardengo che fu protagonista, oltre che del ciclismo, di una vicenda connessa alla sua presunta amicizia, con un noto bandito italiano del tempo, Sante Pollastri, grande tifoso del campione. S’incontrarono a Parigi e Girardengo, di questo, rese testimonianza al processo al bandito.
Gino Bartali, che in sella alla sua bicicletta, durante la seconda guerra mondiale, si era impegnato in pericolose staffette partigiane, per consegnare, da un capo all’altro del Paese, piccoli biglietti, contenenti informazioni sensibili, che salvarono centinaia di ebrei, dalle deportazioni nei campi di concentramento.
Fausto Coppi, che in un’Italia in cui si andava in carcere per adulterio, e la legge sul divorzio era lontana, si rese protagonista di una storia extraconiugale pubblica con Giulia Occhini, chiamata la Dama Bianca, per il colore frequente del suo abbigliamento.
Al “Campionissimo”, a 5 anni dalla sua morte, e’ stata dedicata la Cima Coppi, che rappresenta il punto più alto, per altitudine,  del Giro d’Italia in corso di svolgimento, e cambia di anno in anno, in relazione al profilo altimetrico della corsa.
Marco Pantani, che dopo aver vino quasi tutto, all’apice della sua carriera, risultato positivo al test antidoping a Madonna di Campiglio, nel giugno del 1999, non si riprese piu’, entrando in un vortice depressivo, che per cause ancora poco chiare, lo porto’ alla morte nel febbraio 2004.
Campioni, ma prima di tutto uomini.
Il Giro d’Italia, fino ad allora raccontato dalle pagine della Gazzetta dello Sport e alla radio, per questo, dai più immaginato, grazie alle parole di giornalisti e cronisti, all’inizio degli anni ’60 ha avuto una nuova ribalta: la TV.
Con il potere dell’etere, il Giro, negli anni, si e’ trasformato in un evento, e con le immagini, ha fatto viaggiare e conoscere l’Italia, a chi, senza mezzi né possibilità, non poteva spostarsi. Nel tempo, grazie alla TV, il Giro è diventato anche una kermesse, dove i potenti sponsor,  giocano ruoli da leaders, investendo soldi ed energie, anche nella ricerca tecnico scientifica dei materiali per la costruzione di biciclette, sempre più leggere e all’avanguardia.
In campo tecnico,  la svolta arrivo’ nel 1984, quando Francesco Moser, a Citta’ del Messico, stabili’ il record dell’ora, in sella ad una bicicletta figlia di una vera rivoluzione. Con le ruote lenticolari, di ultimissima generazione, nello stesso anno vincerà anche il Giro d’Italia.
Da allora, sarà un susseguirsi di novita’. Le leve del cambio sostituite da congegni elettronici, e il ferro del telaio dalla fibra in carbonio. Le strade non sono più pietraie, e l’abbigliamento non più in lana, ma in tessuto leggero e traspirante.
Come ha scritto Dino Buzzati il Giro é  un baluardo assediato dalle squallide  forze del progresso“. Come dire..il progresso e’ bello, ma attenzione agli eccessi.
Messi da parte questi aspetti, il Giro d’Italia edizione numero 100 sta per partire, e con esso continueremo a sognare, come ho fatto io da piccola, quando, in gruppo familiare, cercavamo la tappa più vicina a noi per poter trascorrere un giorno in allegria dentro la Storia.
Il Giro e il suo fascino, e’ stato motivo di ispirazione anche per cantanti-poeti. Tra questi:
Francesco De Gregori ( Il bandito ed il campione ) su Girardengo
Paolo Conte ( Bartali )
Gino Paoli ( Coppi )
Stadio ( e mi alzo sui pedali ) dedicata a Marco Pantani
Che aggiungere. Tutto e’ pronto. Che sabato 6 maggio lo spettacolo abbia inizio.
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03 Maggio 2023 – Redazione

APEEL è una startup californiana che ha brevettato una pellicola invisibile che raddoppia la shelf life della frutta, in alcuni casi perfino la triplica. Edilpeel – così si chiama la pellicola messa a punto dall’azienda fondata nel 2012 Santa Barbara con il sostegno della Bill & Melinda Gates Foundation – si sta diffondendo come soluzione anti spreco nel retail, negli Usa e anche in Europa. In Olanda infatti, a Maasdijk, ha sede la divisione europea di Apeel: si trova all’interno della Nature’s Pride, colosso dell’import ed export di ortofrutta del Vecchio Continente.

A Maasdijk, in Olanda, in posizione strategica tra l’aeroporto di Amsterdam e il porto di Rotterdam, ha sede la Nature’s Pride, uno dei più grandi importatori di frutta e verdura del Vecchio Continente, che tratta 230 prodotti da oltre 58 Paesi. All’interno dello stabilimento è ospitata la sede europea di Apeel Science, startup californiana che ha brevettato una soluzione innovativa per aumentare la shelf life dei prodotti ortofrutticoli con importanti benefici in termini di riduzione dello spreco. Il brevetto è partito dall’avocado, per estendersi ad altre tipologie di frutta come mango, anguria, agrumi, mele e anche ad ortaggi come cetrioli e asparagi.

La tecnologia si basa sull’utilizzo di un composto trasparente 100% naturale, fatto di lipidi organici derivati da scarti della lavorazione vegetale, che, come una cera, va a ricoprire i frutti e li protegge dagli agenti esterni responsabili del loro processo di deperimento. In pratica blocca l’umidità all’interno del frutto e repelle l’ossigeno al suo esterno, funzionando di fatto come una seconda pelle, o meglio come una seconda buccia. La formula brevettata da Apeel è naturalmente top secret, si sa che questa cera naturale è estratta dalle bucce, dai semi e dalla polpa di scarti ortofrutticoli. Con un apposito macchinario il composto rivoluzionario viene spalmato sui frutti, primi fra tutti l’avocado, con cui è partita la sperimentazione: il risultato è che la vita di scaffale si allunga di molti giorni, arriva a raddoppiare, perfino triplicare.

Sul web c’è anche un Video realizzato dal giornalista Riccardo Staglianò all’interno dell’azienda olandese, in cui vengono mostrati alcuni dettagli del trattamento degli avocado con la pellicola naturale di Apeel Science: piccoli scorci, perché il procedimento innovativo resta un segreto. Si vede il nastro trasportatore con gli avocado che passano in una serie di rulli a torciglioni di setole, irrorate del composto di Apeel, che viene così spalmato in modo uniforme sul frutto.

Il segreto per avere un avocado più longevo è di raccoglierlo quando il suo indice di materia secca è di 23, spiega Hirich Khalaf di Nature’s Pride a Repubblica. “Dopo lunghi studi abbiamo scoperto che è il compromesso ottimale tra durata e sapore”, rivela. A quel punto gli avocado, in container frigo, iniziano il loro viaggio: “Una ventina di giorni in mare. Due di deposito appena arrivati qui. E cinque per completare la maturazione”. Nell’azienda olandese ci sono infatti 50 “ripening room”, dove tramite ventilazione la temperatura viene portata gradualmente da 5 a 20 gradi. Gli avocado, che quando arrivano a Maasdijk sono ancora duri come sassi, dopo essere stati trattati con la pellicola di Apeel vengono messi per cinque giorni nelle celle di maturazione, quindi sono pronti per essere confezionati e distribuiti nei punti vendita della Gdo.

In commercio dal 2017, Edilpeel – così si chiama in termini commerciali la pellicola di Apeel Science – viene oggi utilizzata a livello globale come soluzione per prolungare la shelf life da agricoltori, grandi compagnie e distributori ortofrutticoli negli Stati Uniti e anche in Europa: i frutti ricoperti dalla pellicola “magica” che allunga la vita di scaffale e riduce gli sprechi, riconoscibili dal bollino “Eat me” con il marchio Apeel, si trovano in alcune grandi catene come Kroger negli Usa (leggi qui) o Edeka in Europa (Germania).

RICORDIAMO ANCORA CHE, forte di questi risultati, la startup californiana, fondata nel 2012 da James Rogers con il sostegno della Bill & Melinda Gates Foundation, continua a crescere. Dopo i due round d’investimento da 250 + 30 milioni chiusi in piena pandemia, Apeel Science la scorsa estate ha chiuso un series E round da 250 milioni che ha portato complessivamente il valore aziendale a oltre due miliardi di dollari, come riporta la Cnbc. E a settembre la società ha annunciato una partnership con Walmart per introdurre in oltre 100 punti vendita del gruppo negli Usa i cetrioli anti spreco trattati con Edilpeel.

FONTE: Fruitbook Magazine

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01 Maggio 2023 – Redazione

 

Per allungare la shelf life dei prodotti l’azienda californiana fa sapere che starebbe usando una soluzione naturale e brevettata, ma avendo saputo chi ha brevettato e commercializzato il metodo, non crediamo affatto al beneficio…anzi!!! I dubbi ci assalgono!!! Il metodo, messo a punto dalla Fondazione Bill & Melinda Gates si chiama Apeel ha creato una pellicola per la riduzione degli sprechi!!!! Proprio filantropi!!!!! 😱😱😱😱😱

L’idea di «Avocado Apeel», una pellicola in grado di proteggere gli avocado dalla normale degradazione dovuta al tempo, è piaciuta così tanto ai due coniugi di discussa benevolenza, che l’hanno finanziata con 40 milioni di dollari. ATTENZIONE, ATTENZIONE , ATTENZIONE!!!! Non è la prima pellicola invisibile pensata per allungare la vita alla frutta, ma questa volta ha superato la fase di sperimentazione, venendo lanciata nei primi supermercati.

Arriva la pellicola salva avocado
L’effetto è perfettamente visibile nel video qui in basso: i tempi di conservazione del frutto si allungano di molto, fino ad arrivare a 20 giorni di «sopravvivenza». L’azienda APEEL ha brevettato la sua particolare tecnologia, che va a braccetto con altre idee simili, come i contenitori commestibili o completamente biodegradabili. L’obiettivo è diminuire l’impatto sull’ambiente diminuendo la plastica e altri agenti inquinanti, contemporaneamente abbattendo lo spreco alimentare. MA QUANDO IN MEZZO ALLE INIZIATIVE C’È LO ZAMPINO DI BILL GATES, PER LA MAGGIORANZA DELLE PERSONE di tratta DI BEN ALTRI SCOPI!!!!! D’altra parte l’esperienza recente dei vaccini ci ha insegnato questo!

Il patrocinio di Bill Gates

È proprio questa la notizia più importante che fa pensare. Non si tratta di una tecnologia in fase di studio, ma di un prodotto già in commercioNel dicembre dell’anno scorso sono iniziate le prime vendite, nei prossimi mesi dovremmo vedere molti supermercati – prima negli USA e poi italiani – adottare questo tipo di prodotti, anche per nuovi frutti e ortaggi.

Il metodo di Apeel, però, non allunga la vita del prodotto fresco trasformandolo: la maggiore durata della shelf life deriva da un trattamento con un composto segreto.

Il metodo segreto di Apeel

Nella pratica, Apeel, applicando un composto trasparente la cui ricetta non è stata svelata, è in grado di non fare ossidare e disidratare frutta e verdura, i quali restano sodi e turgidi più a lungo. Della pozione magica si sa solo che viene ricavata dagli scarti della lavorazione vegetalee che viene spalmata o nebulizzata sui frutti e sugli ortaggi freschi: “Lime, avocado, cetriolo hanno una buccia che serve per proteggerli – si legge sul sito dell’azienda – Le sostanze che si trovano in bucce, semi e polpa (lipidi e glicerolipidi) sono ciò che usiamo come elementi costitutivi della nostra miscela brevettata con cui trattiamo frutta e verdura per prolungarne la durata”. I prodotti che devono essere sottoposti al trattamento vengono posti su un rullo trasportatore e quindi irrorati in maniera uniforme con il composto. In seguito vengono fatti asciugare per tre minuti in un forno a 60 gradi!!!!!!😱😱😱😱😱😱. Finito il trattamento sono pronti per essere confezionati e, quindi, per essere trasportati e posti sugli scaffali della grande distribuzione. La società californiana per ora sta applicando il suo metodo su avocado, mango, agrumi, mele, cetrioli e asparagi. Ma, chissà, un domani la platea potrebbe allargarsi.


In Italia?

La domanda sorge spontanea: i prodotti ortofrutticoli a lunga conservazione si possono già trovare in Italia? La risposta sta nella partnership tra l’azienda statunitense e Orsero. Alessandro Canalella, chief commercial officer del Gruppo Orsero, la scorsa primavera aveva commentato: “La partnership con Apeel è per noi strategica. Dal punto di vista commerciale ci permette di introdurre un’innovazione sul mercato europeo, dedicata a un prodotto, come l’avocado, il cui consumo cresce a doppia cifra ed è sempre più diffuso e popolare. La novità alimenterà questo trend, permettendo di allungare la shelf life dei frutti. Il beneficio gioverà a tutti gli anelli della filiera, compreso il consumatore. La partnership, inoltre, rafforza il nostro impegno nella lotta allo spreco alimentare, principio base della filosofia del Gruppo. Oltre alle azioni già intraprese per efficientare le fasi di trasporto e stoccaggio dei prodotti, e la collaborazione con i banchi alimentari per donare i prodotti edibili ma non più commerciabili, potremo ora agire anche sulla riduzione della creazione di spreco alimentare”.

MAH!

FONTE: Myfruit

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30 Aprile 2023 – Redazione

 

Una legge in Uganda contro l’omosessualità si è rivelata per l’UE il pretesto perfetto per far approvare un emendamento che depenalizza l’omosessualità e condanna chi impone leggi anti gender.


1) LA LEGGE IN UGANDA

Sebbene il disegno di legge sia stato approvato all’unanimità, il presidente non ha ancora firmato il decreto, rispedendolo temporaneamente in parlamento per attuare alcune modifiche, come l’inserimento del tema della riabilitazione. La nuova legge conferma nel paese il già presente carcere per chi pratica l’omosessualità e prevede la pena di morte per chiunque abbia rapporti omosessuali con bambini e disabili. Chi sosterrà gli LGBT, o fornirà sostegno finanziario a organizzazioni che lo fanno, rischierà fino a 20 anni di carcere. Gli ugandesi dovrebbero denunciare alla polizia gli omosessuali, altrimenti potrebbero ricevere una multa o essere incarcerati per 6 mesi. Sono previsti fino a 10 anni di carcere per chi fa sposare persone dello stesso sesso o gli offre alloggio.

2) ITALIA, POLONIA ED UNGHERIA NEL MIRINO DELL’UE

Nel paragrafo 19 dell’emendamento si legge che vi è preoccupazione per “gli attuali movimenti retorici anti diritti, anti gender e anti LGBTQ+ alimentati da leader politici e religiosi a livello globale”, in quanto “ostacolerebbero la depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender e legittimano la retorica secondo cui le persone LGBTIQ sono un’ideologia anziché esseri umani”. Il paragrafo si conclude con una condanna dell’UE alla retorica anti LGBT, e che questa è presente in alcuni membri dell’unione: Ungheria, Polonia ed Italia.

Nel 2021 in Ungheria è stata approvata una norma che vieta la promozione dell’omosessualità e della “transizione di genere” sui media e nelle scuole alle persone di età inferiore ai 18 anni. La legge, definita “una vergogna” da Von Der Leyen, ha spinto la commissione europea ad intentare una causa legale contro Orban.

Alcuni comuni della Polonia hanno istituito in modo autonomo le “LGBT Free zones“, aree del paese dove gli LGBT non sono accettati e viene impedito loro di manifestare, mentre l’Italia sarebbe colpevole di aver bloccato le registrazioni all’anagrafe dei bambini di coppie omosessuali e affossato il DDL Zan.


3) CENSURA LGBT

Se la legge in Uganda dovesse venire approvata, l’UE è già pronta ad applicargli sanzioni per violazione dei diritti umani e a revocare al paese le preferenze EBA, che prevedono l’eliminazione delle tariffe per le merci provenienti da paesi meno sviluppati.

Il punto 31 dell’emendamento invita la commissione europea a creare un piano a tutela della casta LGBT con le seguenti misure: rendere la depenalizzazione dell’omosessualità un requisito per poter accedere all’EBA, inserire negli accordi di partenariato internazionali una clausola che ne prevede la sospensione qualora il paese criminalizzi le persone LGBT, modificare gli algoritmi dei social per impedire la diffusione dei contenuti anti-gender, ed estendere il sostegno finanziario alle organizzazioni LGBTQ+ presenti in paesi che criminalizzano l’omosessualità e tramite un apposito fondo istituito dall’UE, fornire a queste assistenza tecnica e legale.


4) DOPPI STANDARD

Vi ricordate tutte le interrogazioni parlamentari che sono state fatte all’UE sulla legittimità del green pass o del massacro dei portuali di Trieste? A tutte l’UE rispondeva che non era affar loro e che i paesi membri potevano fare quel che volevano. Qui l’UE non solo vuole sindacare sulle leggi che non vengono approvate nel nostro paese come il DDL Zan, ma si permette di dare ordini anche all’Uganda. Dov’erano questi paladini della (in)giustizia quando durante il lockdown a Shangai mettevano sensori sulle porte per non far uscire le persone? 


CONCLUSIONI

Dovete imparare la distinzione tra minoranze e minomafie. Le prime vengono abusate e nessuno fa nulla (no vax), le seconde hanno tutti i magnati, i politici e gli influencer del mondo a loro difesa per interessi ideologici. 

Fonte: Der Einzige – Fonte di Liberta’

 

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29 Aprile 2023 – di Marzia MC Chiocchi

Poco e’ cambiato dal crollo del Ponte Morandi di Genova avvenuto il 14 Agosto del 2018.

E’ l’Italia che va.. un paese in dissesto idrogeologico e non solo

E’ l’Italia che va..                                                      con le su macchinine vrum vrum
sulle piccole autostrade ” bum”
Sotto cieli di cristallo blu blu

Questo l’incipit di una famosissima canzone di Ron datata 1986. Se poi proseguiamo nella lettura del testo, notiamo che, con una musicalità spensieratamente rassegnata, e con morbidezza linguistica, l’autore delinea un tratto attualissimo della staticità tutta italica. In 37 anni dalla sua uscita poco e’ cambiato.

Non e’ affatto mia intenzione frullare il sacro col profano, ma vorrei partire da questa canzone per affrontare, spero senza pesantezza,  una delle problematiche di questa Italia colabrodo.
La fragilità di molte opere infrastrutturali, frutto di un’ ingegneria contemporanea un po’ disattenta, unita alla frequente poca serietà, nella gestione degli appalti. Parto dai cavalcavia e i ponti crollati, trattandosi di eventi recenti, un’elenco che, partendo ad esempio dal 2013 ad oggi, ne annovera un significativo elenco!
Uno scempio, una vergogna, un’indecenza. Concedetemi queste parole, ancora molto calibrate, che sostituiscono educatamente, un linguaggio pubblicamente inesprimibile, per definire la sequenza di morte e distruzione.
Tante ragioni di tutto cio’ le conosciamo, tra cui:

– scarsa professionalità progettuale
– costruzioni realizzate risparmiando sui materiali
– una quasi assente manutenzione sempre in crescendo

Intervistando un esperto del settore, da oltre 20 anni in prima linea su molti cantieri edili del territorio nazionale, abbiamo chiesto noiosissimi, se pur indispensabili tecnicismi, per comprendere come sia cambiato nella storia il modo di realizzare grandi e piccole infrastrutture. Semplificando al massimo, abbiamo capito che, nei secoli, e sopratutto negli ultimi decenni, per costruire, si e’ sostituita la più solida pietra di tufo con i mattoni. Che le tecniche di costruzione siano passate dalle murature antiche più complesse, non sempre lineari e per questo uniche, alla concezione moderna scatolare, può senza dubbio dispiacere, perché così operando le parti moderne delle nostre città storiche, sono diventate anonime e dormitorio.
Ma alla base di tutti i cambiamenti, belli o brutti che siano, devono rimanere concetti granitici: sicurezza, stabilità e manutenzione. Alla luce di quanto detto, infatti, non si possono spiegare gli accadimenti con giustificazioni riduttive, frasi o luoghi comuni quali “Il Paese che crolla”, ” La sabbia di mare usata al posto di quella di fiume” o simili.
Gli antichi, senza dubbio, costruivano molto meglio e con maggiori accortezze ma, periodicamente, con cadenza certosina, mantenevano infrastrutture, opere idrauliche e quant’altro, con i controlli che, sempre più spesso, noi omettiamo.


Sebbene coscienti che una costruzione in pietra, nei secoli, abbia maggiore solidità e durevolezza, rispetto ad una di cemento armato, non possiamo pensare, però,  che tali opere vivano in un’ aura di eterna resistenza. Purtroppo viviamo le conseguenze di una cancrena sociale, di un’emorragia civile che, superficialità,  inamovibilita ed egoismo imperanti, non riescono a fermare. Figli di una satira di boccaccesca memoria, che si prendeva gioco, già da allora, dei comportamenti non esemplari  della societa italiana, ancora tutta da unire, dovremmo velocemente svegliarci.
Non basta solo esorcizzare cio che accade con simpatiche e argute battute sui social. E arrivato il momento di reagire, non a parole ma nei luoghi deputati.
Chi ci governa fa leva sulla nostra apatia, continuando ad imbambolarci con i ” FAREMO”.
Ma quando? Vien da chiedere. Allo stato dei fatti, probabilmente rispondiamo, il giorno del poi e l’ anno del mai.
Smettiamo di considerare Cassandra chi dice la verità prevedendo disastri non per vaticinio, ma per professionalità e capacità tecniche. In fondo, la figura mitologica greca, annunciando sventure, metteva semplicemente sull’avviso per prevenire ed evitare il peggio. Ma la stupidita , che partorisce senza soluzione di continuità,  l’aveva invisa ai molti, considerandola esclusivamente portatrice di ogni male. Dalla mitologia alla realtà il passo e’ stato breve, e ancora oggi, chi cerca di avvertire, non viene ringraziato , ma considerato Cassandra.
Ahi noi!
E l’Italia che va….
Tante domande senza risposte. E quante difficoltà a spiegare certe incongruenze ai bambini che, sempre più svegli e attenti, pongono domande intelligentemente imbarazzanti. A tal proposito l’ing. Esposito mi ha raccontato di quando la figlia, di appena 5 anni, dopo i crolli di Pompei gli chiese.. “Papà, perché ci sono costruzioni antichissime che resistono e quelle di oggi cadono?

Rimase sorpreso e spiazzato dalla domanda, perche doveva spiegare meccanismi complessi di ingegneria e farsi capire. Questo il suo racconto:
“C’era vento e le dissi, guarda gli alberi… sono esposti a una serie di eventi…pioggia, vento, grandine, eppure…si piegano… magari perdono qualche foglia,  ma son li a lottare contro gli eventi. Le solide radici aggrappate alla terra sono come le fondamenta di un palazzo e il fusto la struttura.
Madre natura li i ha dato una capacità elastica tale da contrastare la maggior parte degli imprevisti. Magari la corteccia si rompe, lascia nudità, ma sempre madre natura permette di rigenerarsi. Questa si chiama manutenzione, che le piante fanno da soli.
La bimba rispose “Ma i palazzi son duri come il cemento e non sono elastici.
Le raccontai dei primi ominidi, delle palafitte, fino alla scoperta geniale del calcestruzzo in epoca romana.
Le spiegai che sin da allora si era capito che ogni forza della natura doveva essere contrastata con l’elasticita della struttura. I romani costruivano con malta e mattoni ma proprio quello rendeva la costruzione elastica. Addirittura avevano pensato che il modo di posizionare gli stessi mattoni prevenisse i crolli dovuti ai terremoti. E questa tecnica è stata sfruttata fin quasi ai giorni nostri.
Ma perché non facciamo più le case cosi allora? Chiese la bambina
Perché oggi esiste un materiale più semplice chiamato cemento armato, con cui si tirano su le strutture portanti.
Non mi hai risposto papà… oggi quelle case crollano. Non dirmi che anche tu fai queste cose, mi disse preoccupata. Come facevo a spiegarle del boom economico, dell’ingordigia di certi palazzinari, della mancanza di manutenzione, di controlli..Troppo per lei! Le dissi solo  di stare tranquilla perché avrei fatto sempre in modo che ciò non accadesse.
Rimase sorpreso e spiazzato dalla domanda, perche doveva spiegare meccanismi complessi di ingegneria e farsi capire. Questo il suo racconto:
“C’era vento e le dissi, guarda gli alberi… sono esposti a una serie di eventi…pioggia, vento, grandine, eppure…si piegano… magari perdono qualche foglia,  ma son li a lottare contro gli eventi. Le solide radici aggrappate alla terra sono come le fondamenta di un palazzo e il fusto la struttura.
Madre natura li i ha dato una capacità elastica tale da contrastare la maggior parte degli imprevisti. Magari la corteccia si rompe, lascia nudità, ma sempre madre natura permette di rigenerarsi. Questa si chiama manutenzione, che le piante fanno da soli.
La bimba rispose “Ma i palazzi son duri come il cemento e non sono elastici.
Le raccontai dei primi ominidi, delle palafitte, fino alla scoperta geniale del calcestruzzo in epoca romana.
Le spiegai che sin da allora si era capito che ogni forza della natura doveva essere contrastata con l’elasticita della struttura. I romani costruivano con malta e mattoni ma proprio quello rendeva la costruzione elastica. Addirittura avevano pensato che il modo di posizionare gli stessi mattoni prevenisse i crolli dovuti ai terremoti. E questa tecnica è stata sfruttata fin quasi ai giorni nostri.
Ma perché non facciamo più le case cosi allora? Chiese la bambina
Perché oggi esiste un materiale più semplice chiamato cemento armato, con cui si tirano su le strutture portanti.
Non mi hai risposto papà… oggi quelle case crollano. Non dirmi che anche tu fai queste cose, mi disse preoccupata. Come facevo a spiegarle del boom economico, dell’ingordigia di certi palazzinari, della mancanza di manutenzione, di controlli..Troppo per lei! Le dissi solo  di stare tranquilla perché avrei fatto sempre in modo che ciò non accadesse.

ECCO IL VIDEO SUI PONTI A RISCHIO CROLLO ⤵️
https://youtu.be/A1MlXGaSJ9E


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28 Aprile 2023 – Redazione

Uno dei composti chimici che ha creato più controversie negli ultimi anni è ioduro d’argento. È un composto inorganico costituito da un atomo di argento e un atomo di iodio. È un solido cristallino giallo chiaro che tende a scurirsi se esposto alla luce per lungo tempo. Non è solubile in acqua ma può dissolversi in presenza di un’alta concentrazione di ione ioduro.

In questo articolo vi parleremo di tutte le caratteristiche, proprietà e usi dello ioduro d’argento.

Caratteristiche principali

Stiamo parlando di un composto inorganico che contiene una struttura cristallina simile a quella del ghiaccio. Negli anni l’esperienza con questo composto è maturata e gli sono stati dati numerosi utilizzi. Uno di questi è quello di servire da seme per poter produrre pioggia e cambiare il clima. Questo uso è stato molto messo in dubbio a causa del potenziale danno che lo ioduro d’argento può causare se dissolto in acqua. Inoltre, non sono noti effetti a lungo termine che il cambiamento del clima di una regione possa avere.

Fin dall’Ottocento è stato utilizzato in fotografia grazie alla capacità di scurire con la luce. Viene anche utilizzato nelle terapie antimicrobiche. Recentemente sono stati condotti alcuni studi sull’utilizzo dello ioduro d’argento nella rimozione dello iodio radioattivo nei rifiuti prodotti nelle centrali nucleari.

un composto che è tossico per l’uomo, gli animali e le piante. Pertanto, c’è una grande controversia sull’uso dello ioduro d’argento per modificare il clima e generare pioggia. La struttura di questo composto è formata dal suo stato di ossidazione di argento e iodio con valenza -1. Il legame tra i due ioni è molto forte e stabile. Questo è uno dei motivi per cui è difficilmente insolubile in acqua. La struttura cristallina dipende dalla temperatura in cui ci troviamo. Sotto i 137 gradi c’è una forma cubica, tra 137 e 145 gradi abbiamo un solido di colore giallo-verdastro o sotto forma di beta. Infine, se la temperatura sale sopra i 145 gradi, presenterà quello ioduro d’argento di colore giallo e nella sua forma alfa.

Proprietà dello ioduro d’argento

Sappiamo che nel suo stato fisico naturale è un solido di colore giallo chiaro che forma cristalli esagonali o cubici. Il suo peso molecolare è di 234.773 grammi per ogni mole e il suo punto di fusione è di 558 gradi. Affinché Eliodoro possa bollire l’argento, deve raggiungere temperature di 1506 gradi.

Come abbiamo accennato prima, è un composto inorganico praticamente solubile in acqua. È insolubile in acidi ad eccezione dell’acido idroiodico ed è solubile in soluzioni concentrate come bromuri alcalini e cloruri alcalini. Tra le sue proprietà chimiche abbiamo gli acidi che sono concentrati fintanto che sono ad alte temperature e attaccano lentamente. Le soluzioni in cui è presente un eccesso di ione ioduro vengono sciolte, formando un complesso di iodio e argento. Una delle proprietà per le quali si distingue è che è sensibile alla luce. Se la luce è esposta a lungo, si scurisce lentamente e forma l’argento metallico.

Usi di ioduro d’argento

Questo composto si ottiene in natura sotto forma di minerale iodargirite. Una volta in laboratorio, può essere preparato riscaldando la soluzione di nitrato d’argento con una soluzione di ioduro alcalino come lo ioduro di potassio. In questo modo, lo ioduro d’argento viene creato artificialmente.

Uno degli usi più controversi dello ioduro d’argento nella storia è quello di generare pioggia.È possibile applicare nelle nuvole per modificare la quantità o il tipo di precipitazione. Può innescare processi di grandine, disperdere nebbie fredde o indebolire gli uragani. Per fare questo, può essere disperso come se fosse un seme all’interno di una nuvola fredda che contiene acqua liquida super raffreddata. Eta significa che le temperature sono inferiori a 0 gradi. Avendo una struttura cristallina simile a quella del ghiaccio, favorisce il congelamento dell’acqua super raffreddata.

Il problema dell’uso dello ioduro d’argento per la generazione di pioggia sono i suoi effetti negativi. Ed è che dopo la dispersione come un seme nelle nuvole si trova al suo interno e viene lavato via dalle precipitazioni. La presenza di un argento solubile duro nell’acqua piovana è qualcosa di cui tenere conto poiché è inquinante e tossico per piante, animali e esseri umani. L’ambiente marino colpisce anche tutti gli animali e le piante.

Il cloud seeding è un esperimento condotto alcuni decenni fa. Se le nuvole sono piantate rispettivamente sulla stessa area, può creare un effetto cumulativo di ioduro d’argento. Secondo diversi studi recenti, la concentrazione di ioduro d’argento trovata nelle aree in cui è stata utilizzata la tecnica di cloud seeding è molto superiore al limite dal quale risulta tossico per alcuni pesci e organismi inferiori.

Si può dire che l’unico uso razionale dello ioduro d’argento sarebbe quello di indebolire gli uragani, riducendo così le loro conseguenze.

Altri usi

Come abbiamo accennato prima, a causa della sensibilità della luce è stato utilizzato in fotografia. È un materiale in grado di reagire in presenza di luce. Ciò fa sì che venga utilizzato per ottenere materiali fotosensibili come rulli fotografici su cui sono stati applicati i cristalli. Grazie allo ioduro d’argento abbiamo potuto scattare foto da una vecchia macchina fotografica.

Un altro uso è nella rimozione dello iodio radioattivo. Poiché ha un’elevata insolubilità, è stato proposto di rimuovere lo iodio radioattivo presente nei rifiuti acquosi generati nelle centrali nucleari.

Tutto ciò che è stato qui scritto, dovrebbe aver fatto capire che ciò che cade dal cielo con la pioggia non ha niente a che vedere con il benessere e la salute delle persone. Avremo modo di riparlarne, perché la pseudo emergenza climatica, sta prendendo il posto del pandelirio da covid.

 

FONTE: metereologiaenred.com

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27 Aprile 2023 – Redazione

 

PUBBLICO UN ARTICOLO SCRITTO NEL 2017 DA UN BLOGGER CHE, ANALIZZANDO IL LINGUAGGIO COMUNE E LA REALTÀ DEI SOCIAL, HA SPIEGATO COME ALCUNE CATEGORIE DI PERSONE, COMUNEMENTE CHIAMATE “LEONI DA TASTIERA”, POSSANO ARRECARE DANNO A CHI LEGGE E NON È FERRATO IN MATERIA, O CREDE SEMPRE A TUTTO A PRESCINDERE.
NEL TESTO HO TROVATO RIFLESSIONI INTERESSANTI SU COME IL LINGUAGGIO COMUNE STIA CAMBIANDO, MA HO TOLTO I COMMENTI PIÙ SCOVENIENTI PER L’USO DI  UNA TERMINOLOGIA UN PO’ SOPRA LE RIGHE E NON PROPRIO IL LINEA CON IL MIO SCRIVERE. AL TERMINE DELLA LETTURA NESSUNO DOVRÀ SENTIRSI OFFESO, ANCHE PERCHÉ, PURTROPPO, QUELLA DESCRITTA È SOLO PARTE DELLA REALTÀ.

MARZIA MC CHIOCCHI


Quante volte abbiamo sentito o letto la curiosa forma espressiva Analfabeti funzionali.

Una volta, prima dell’avvento dei social e persino di internet, quelli così erano chiamati volgarmente e semplicisticamente scemi, con varianti lessicali dipendenti dagli strati sociali, oppure dalla qualità della conversazione quali idioti, fessi, imbecilli, stupidi, stolti cretini, per poi arrivare ai localismi.

Oggi però imperversa una moda linguisticamente fatale, che s’insinua – attraverso il web – nei nostri linguaggi.

Ecco che, per esempio, lo storytelling non è altro che il racconto di storie, il selfie è l’autoscatto, lo stepchild adoption è l’adozione del figlio del partner, il brand è il marchio, l’on demand è un servizio a richiesta, ecc.

Quindi un analfabeta funzionale sarebbe semplicemente una persona che ha studiato, ma alla fine non capisce il vero senso di un concetto, anche semplice. In realtà pure molti laureati, masterizzati o dottorati soffrono di questa malattia culturale e infatti – viaggiando tra i social – anche molti titolati non approfondiscono le letture, fermandosi magari ai titoli di un articolo.

Alla categoria si possono ricondurre anche queste figure, così massicciamente presenti sui social:

Quello che legge solo e soltanto il titolo e commenta

A volte capita che fraintenda anche il senso del titolo stesso degli articoli di oggi (inclusi quelli – dei maggiori quotidiani nazionali) dal momento che molto spesso sono sensazionalistici e acchiappaclick. E quindi, commenta solo in base al titolo. A tal proposito, i giornalisti del “Secolo XIX” nel 2016 hanno fatto un esperimento sociale, basato proprio su questo. Leggi e divertiti.

L’odiatore seriale

Gli odiatori seriali (definiti haters) sono quelli che qualsiasi cosa tu scriva (soprattutto se sei un personaggio famoso o comunque seguito sui social) hanno sempre qualcosa da ridire, e un po’ di veleno da sputare.  L’odiatore seriale è chiaramente colui che, dal momento che non ha altri modi per sfogare le sue innumerevoli frustrazioni, lo fa sui social,  e ogni “like” che prende alimenta il suo ego, facendolo illudere di contare qualcosa. Nel mondo virtuale conterà  solo fino allo scorrimento della timeline, in quello reale, purtroppo, non conterà niente. In fondo la sua vita è vuota, quindi i suoi 30 secondi di gloria rappresentano la summa della propria esistenza. Da compatire.

Quello che pensa agli affari suoi, sempre e comunque

E’ il tipo che controlla il profilo degli altri, senza mai scrivere di lui.

Il maniaco seriale

E’ quello che ti chiede l’amicizia. Zero amici in comune, con foto del profilo che mostra la tartaruga e il tatuaggio, con occhiali da sole specchiati, montatura da figo e un sorriso a 36 denti. Tu accetti l’amicizia e subito ti arriva un messaggio tipo: “ciao, o visto ke 6 single…..”. Tu gli fai notare che non è il caso, ma lui, nelle settimane a venire, ti mette il “like” a ogni foto che pubblichi. E lì capisci che la sua serialità è solo la punta dell’iceberg di un malessere sociale e psichico che potrebbe portare ad epiloghi poco piacevoli.

L’uomo del “meditate gente, meditate”

E’ il normotipo di quello che ci mette ore a scrivere un post o un commento, il cui risultato sono solo una serie di frasi stereotipate e ritrite, ma che, solo lui, ritiene ricche di cultura e ad effetto. Per poi concludere il post con un “meditate gente, meditate”. Infine, dopo aver premuto “invio”, si gongola pensando alla sua saggezza e attende i like dei suoi simili.

Quello che, se gli parli ti risponde picche

In pratica, imposti un dialogo tra sordi, ovvero nel semplificare il tuo pensiero e fargli capire concetti semplici, ma lui ti risponderà parlando di altro. Non perché voglia distogliere l’attenzione e spostare la conversazione, ma semplicemente perché non ha capito alcunché!

Quello che si mette il like da solo

Nel gergo social, come sappiamo tutti benissimo, un like è un apprezzamento a un contenuto che abbiamo pubblicato. Quindi chi lo ha  scritto significa che condivide quello che dice! Chiaro!  Quindi perché, devi mettere quel like ai tuoi contenuti?

Il condivisore seriale di bufale

È la persona più pericolosa nel mondo social. E’ colui che si fa attrarre da titoli. A nulla vale che l’articolo provenga dalle black list dei siti bufalari, a nulla vale che tu commenti i suoi post dicendo che sono falsi. Ne uscirà fuori solo un’amara discussione in cui tu sei il complottista e loro i portatori sani di verità assolute. Vanno solo lasciati perdere.


Il fatto è che hanno vinto gli analfabeti funzionali

Tu puoi anche usare tutta la logica possibile per inchiodarli alla propria ignoranza. Non ci riuscirai. Puoi pubblicare tutti gli schemi logici di questo mondo per fargli capire che bisogna parlare con consapevolezza. E’ inutile. Puoi anche citare tutte le fonti che dimostrano il contrario di ciò che sostengono. E’ tempo perso.

Certi individui, finché avranno una connessione internet e un accesso libero e indiscriminato agli strumenti social, ti travolgeranno sempre e comunque con le loro supposizioni, i qualunquismi, le dietrologie da quattro soldi e la grammatica calpestata con violenza e abominio.

Tu potrai condividere quanto vuoi gli articoli che richiamano alla ragione, ma saranno solo compresi e accettati dai tuoi simili, cioè da quelli che vivono nelle riserve della ragione (pochi, insomma), mentre intorno a te imperverserà il diluvio dell’arroganza mista a saccenza e ignoranza.

 

Fonte: “Il Barbuto.blog”

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24 Aprile 2023 – Redazione

 

“ Con l’inizio degli anni settanta del secolo scorso ( il XX’) cominciò a crollare la domanda internazionale di materie prime, sopratutto quella di nichel, con conseguente situazione di grave difficoltà nell’omonima azienda di famiglia.                                                        Costituita nel 1973 la metà della LE NICKEL venne venduta da Guy de Rotschild ad un’azienda statale. In compenso il barone si inventò LA IMETAL che, forte della liquidità ottenuta tramite la suddetta vendita, venne utilizzata per investire negli ISA, inaugurando una nuova fase, di sempre maggiore attenzione all’economia americana. Tutto per i Rotschild di Francia comincio’ con l’appoggio della loro affiliata newyorkese NEW COURT SECURITIES e della vecchia alleata KHUN & LOEB attraverso il cui sostegno, GUY, rilevò un’azienda di Pittsburgh specializzata nella produzione di leghe metalliche.

L’opinione pubblica americana protesto ferocemente contro questa scalata straniera bei confronti di un’importante azienda metallurgica statunitense. Ma comunque l’affare andò in porto! Negli stessi anni Guy decise di cedere la sua storica residenza di Ferrieres considerata ormai uno spreco persino per una delle famiglie più ricche al mondo. Il sontuoso castello e la sua immensa tenuta furono ceduti all’Universita’ di Parigi. Soltanto una parte dei suoi terreni rimase di sua proprietà. Sul territorio rimastogli il Barone fece costruire una residenza molto signorile, anche se menò mastodontica, dove continuarono a sfilare re e regine, stelle di Hollywood e personalità politiche.

Poi per i Rotschild di Francia si scatenò la tempesta. Nel 1981 alla presidenza della Repubblica francese sali’ per la prima volta un socialista. Si chiamava FRANCOIS MITTERAND  e aveva un programma politico capace di far rabbrividire qualsiasi grande magnate francese: superare la “soglia minima” delle nazionalizzazioni, sopratutto nel settore bancario e finanziario e nei confronti dei gruppi industriali in grado di giocare un ruolo di importanza “strategica” all’interno dell’economia francese. Per i Rothschild si manifestava lo spettro della statalizzazione delle loro imprese. A fronteggiare l’attacco socialista dovette provvedere un ancora inesperto beo presidente della banca, David Rothschild, figlio del settantaduenne Guy, ormai in pensione dal 1979.

Mitterand condusse una vivace battaglia parlamentare contro le destre anti-statalizzazione e quando uscì finalmente il disegno di legge, che i Rothschild stavano aspettando con angoscia, fu chiaro che tra le banche prese di mira vi sarebbe stata anche la loro. Il criterio scelto per individuare quali istituti nazionalizzare fu quello della quantità di depositi. La soglia fu fissata a quota “un miliardo” di franchi, e non pochi fecero dubito notare che tale soglia pareva stabilità ad arte. Dopo una violentissima battaglia in Parlamento e una fitta serie di emendamenti, la legge fu approvata nel febbraio del 1982. Logicamente venne prevista una forma di indennità, da corrispondere in obbligazioni ai proprietari espropriati ai proprietari espropriati delle loro aziende, ma siccome la notizia dell’imminente statalizzazione aveva fatto crollare il valore delle azioni delle banche coinvolte, il calcolo dell’identità sulla base del loro attuale valore non fece che penalizzarle ulteriormente. E ai Rothschild andò anche peggio.

Complessivamente l’identità finita nelle mani della famiglia fu di 450 milioni di franchi, circa 181 milioni di euro attuali, di questa cifra, però, i Rothschild avrebbero ricevuto solo il 35%.

David riflette’ sull’accaduto e si chiede se davvero la sua famiglia sarebbe potuta correre ai ripari, prima di farsi travolgere dalla nazionalizzazione. Poi riconobbe l’importanza di prendere atto che una nuova svolta nella storia dei Rothschild stava verificandosi. Così, per lui e i suoi cugini decisero di ripartire. A dire il vero, però, in qualche modo erano riusciti a limitare i danni con l’ennesimo trucchetto. Servendosi della Paris Orleans, una vecchia compagnia ferroviaria riconvertita per l’occasione a finanziaria, nel giro di otto mesi avevano sfornato, senza dare troppo nell’occhio, una società comproprietaria della banca Rothschild. Il tutto, naturalmente, mentre il dibattito ferveva ancora in Parlamento.

Cosi, quando la morsa di Mitterand scattò, la Paris Orleans incassò la sua percentuale di indennità, un 8% in più spuntato dal nulla. Quella cifra, non certo indifferente, avrebbe costituito la rampa di lancio per i futuri investimenti.

Ma da quel momento in poi basta con la Francia. Il nuovo quartier generale dei Rothschild, quello della finanza moderna, si sarebbe spostato in America!

FONTE: Tratto dal libro: “I Rothschild e gli altri” di Pietro Ratto

 

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23 Aprile 2023 – Redazione

La sindrome di Stendhal è un disturbo psico-somatico che si manifesta con una sensazione di malessere diffuso associato ad una sintomatologia psichica e fisica, di fronte ad opere d’arte o architettoniche di notevole bellezza, specialmente se si trovano in spazi limitati. Nota anche come “Sindrome di Firenze”, poiché è nella città toscana che si è registrato il maggior numero di casi, colpisce persone esperte ma anche non esperte di arte che si ritrovano a vivere una situazione emotiva molto coinvolgente. Il soggetto colpito resta in una sorta di estasi contemplativa al cospetto di opere d’arte e capolavori di enorme bellezza.

Cos’è la sindrome di Stendhal e come si manifesta

Le manifestazioni della sindrome di Stendhal variano da persona a persona e comprendono diversi sintomi che possono essere più o meno gravi così come può essere differente l’opera d’arte che fa scaturire il disturbo. Si presenta in maniera improvvisa e inaspettata. Le persone che ne sono affette sono principalmente di sesso maschile, sensibili all’arte, con un’età compresa tra i 24 e i 40 anni, viaggiatori, per lo più soli, con un buon grado di istruzione scolastica. La sindrome di Stendhal non può essere propriamente definita una malattia, poiché non inclusa nei manuali di psicologia, ma rientra nei disturbi psicosomatici transitori caratterizzati da attacchi di panico, dispercezione del mondo esterno, depersonalizzazione e derealizzazione. Il soggetto colpito resta in una sorta di estasi contemplativa al cospetto di opere d’arte e capolavori di enorme bellezza.

Generalmente gli effetti sono lievi e transitori, ma l’individuo non sapendo cosa stia succedendo potrebbe chiedere aiuto o, in caso di effetti e manifestazioni più severe, potrebbe essere necessario l’intervento di personale sanitario. Le persone che manifestano la sindrome di Stendhal riferiscono di essere state sopraffatti dalla bellezza delle opere d’arte che osservavano e alcuni raccontano di non essersi più sentiti nel proprio corpo.

Malessere generalizzato, tachicardia, vertigini, svenimento, confusione mentale, allucinazioni, attacchi di panico, difficoltà respiratoria, incontrollabile euforia o depressione sono solo alcuni dei sintomi più comuni.

Dal punto di vista clinico queste manifestazioni vengono raccolte in tre gruppi:

  • Quadro clinico meno grave: la persona avverte palpitazioni, senso di oppressione toracica, difficoltà respiratoria, vertigini, svenimento. È in atto un vero e proprio attacco di panico e ansia somatizzata. I soggetti sviluppano un vago senso di irrealtà (derealizzazione) e depersonalizzazione (“uscire dal proprio corpo”). È spesso riportato un bisogno immane di tornare nella propria casa e di parlare la propria lingua
  • Il secondo quadro clinico è caratterizzato da crisi di pianto, stati depressivi, sensi di colpa immotivati, angoscia profonda o, all’opposto, stato di euforia, eccitazione ed esaltazione di sé non controllabili. Questa fase calca i disturbi dell’affettività
  • La terza forma si manifesta con più frequenza in soggetti che già in passato hanno mostrato segni di scompenso psicologico. È caratterizzata da allucinazioni visive ed uditive, con alterazione delle percezioni, dei suoni, delle forme, dei colori. Il soggetto percepisce l’ambiente circostante come persecutorio

Generalmente i disturbi sono transitori e scompaiono allontanandosi dall’opera d’arte che li ha scatenati. Sono presenti però episodi prolungati di ore o addirittura di qualche giorno.

Perché si chiama sindrome di Stendhal

La prima testimonianza di manifestazioni di malessere di fronte ad un’opera d’arte ci viene riportata dallo scrittore francese Marie-Henri Beyle, in arte Stendhal, che nel 1817 lo raccontò nel suo libro “Roma, Napoli e Firenze”.

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere. Durante la sua visita nella Basilica di Santa Croce a Firenze lo scrittore avvertì un disagio e un malessere tali da spingerlo a descrivere gli effetti sperimentati in prima persona. Solo molti anni dopo il disturbo venne analizzato e classificato per la prima volta dalla psichiatra Graziella Magherini. Siamo nel 1977 quando la dottoressa studiò un campione di 106 turisti stranieri in visita a Firenze, tutti colpiti da malessere e disagio psichico improvviso e di breve durata. La maggioranza di sesso maschile, con un’età compresa tra i 25 e 40 anni. Con un buon livello di istruzione, provenienti dall’Europa Occidentale o dal Nord America, prediligevano le mete artistiche. Il disagio si era presentato poco dopo l’arrivo a Firenze e in corrispondenza delle visite in musei o ad opere d’arte.

Distinguere e classificare tutti i sintomi non fu certo facile, soprattutto a causa delle sfumature e dell’intensità con cui i sintomi stessi si erano manifestati: alcuni di loro presentavano disturbi del contenuto e della forma del pensiero con dispercezioni, allucinazioni e stati deliranti; altri presentavano disturbi collegati all’affettività; altri ancora avevano i classici sintomi riferibili agli attuali criteri diagnostici degli attacchi di panico con crisi di ansia.

Rapporto tra opera d’arte e beneficiario

La dottoressa Magherini ha elaborato anche una formula contenente varie teorie psicoanalitiche, che permette di spiegare il rapporto tra opera d’arte e “beneficiario”. Secondo la psichiatra, infatti, l’impatto emotivo che si sviluppa nei confronti di un’opera d’arte è determinato da diversi fattori, intrinseci ed estrinseci. Quelli estrinseci sono di tipo culturale, intellettuale, imputabili alla nostra formazione e alle nostre ideologie. I fattori intrinseci invece sono quelli che riguardano il nostro vissuto, legati alle nostre emozioni e ai sentimenti soprattutto primordiali, cioè derivanti dal rapporto madre-figlio.

Fruizione artistica = Esperienza estetica primaria madre-bambino + Perturbante + Fatto scelto

Per “esperienza estetica primaria madre-bambino” si intende il primo contatto con la bellezza, rappresentata dal viso, dai seni, dalla voce della mamma. Il “perturbante” è invece un concetto freudiano che racchiude in sé un’esperienza conflittuale passata, molto intensa e significativa dal punto di vista emotivo, ma che è stata rimossa. La visione dell’opera d’arte, o meglio, di un preciso particolare (“il fatto scelto”) cattura l’attenzione del fruitore richiamando alla mente vissuti personali ed emozioni così intense da far accendere la sintomatologia psicofisica. Anche lo stesso Freud si era interessato all’interpretazione delle opere d’arte affermando che tramite le loro opere gli artisti manifestano i loro conflitti profondi legati all’infanzia e le fantasie edipiche represse, comunicando sotto forma di espressione artistica. La sindrome di Stendhal, tuttavia, non è mai stata approfondita da un punto di vista scientifico, ma pone comunque l’attenzione su alcuni concetti psicoanalitici come empatia, proiezione, internalizzazione ecc. che in passato sono stati abbandonati, poiché la loro origine neurale era sconosciuta.

La sindrome di Stendhal dal punto di vista della neurobiologia

Dal punto di vista della neurobiologia il dottor Semir Zeki ha provato ad elaborare una teoria sulle reazioni cerebrali e neuronali che si innescano alla visione di un’opera d’arte e che portano alla sindrome di Stendhal. Il neurologo spiega come ognuno di noi ha un “cervello artistico”, che elabora le immagini quando ci troviamo di fronte ad un’opera d’arte. I soggetti affetti dalla sindrome di Stendhal recepiscono le immagini che vanno a stimolare in modo vigoroso in particolare due aree cerebrali:

  • Le regioni cerebrali deputate al meccanismo della memoria emotiva, della sfera affettiva, della regolazione dell’umore e neuroendocrina, ma anche della pianificazione e dell’esecuzione dei movimenti (ipotalamo, gangli della base, amigdala, lo striato ventrale e la corteccia orbito frontale)
  • I neuroni a specchio: varie ricerche neurofisiologiche hanno dimostrato come i neuroni a specchio ricoprano un ruolo importante nella percezione e nella capacità di condividere emotività e sensazioni. La sindrome di Stendhal sembra essere scatenata da una reazione esagerata di questo circuito neuronale “a specchio”. Al cospetto di un’opera d’arte, attraverso il senso della vista, i neuroni ricevono innumerevoli input che, tramite un meccanismo definito “simulazione incarnata”, potrebbe generare nell’osservatore – in modo del tutto inconsapevole – gli stati d’animo che l’autore ha voluto esprimere (in modo conscio o inconscio) tramite l’opera stessa. Stati d’animo così intensi da scatenare, in soggetti predisposti, la sindrome di Stendhal

Come si tratta la sindrome di Stendhal

Nella maggior parte dei casi, in seguito alle manifestazioni della sindrome di Stendhal, non è necessario intervenire poiché la reazione, transitoria, si risolve allontanandosi dall’opera che l’ha scatenata. Altri sintomi tendono a ridursi in breve tempo. Quando invece i sintomi tendono a persistere nel tempo e nell’intensità è necessario l’intervento di un medico serio.

 

FONTE: Nurse24.it (Francesca Gianfrancesco)

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